2002 dicembre 8 Per il Federalismo bastano poche righe
2002 dicembre 8 – Per il federalismo bastano poche righe
Cinque anni fa Gianni Letta, velata eminenza grigia del centrodestra, invitò a cena nella sua casa di Roma
Berlusconi e Fini, D’Alema e Marini, cioè le quattro gambe dei due Poli contrapposti.
In quel momento D’Alema, oltre che leader sulla cresta dell’onda, era il presidente della commissione
bicamerale per le riforme. Giunti alla frutta, i quattro si erano già accordati, al caffè si salutarono con la
convinzione di aver siglato qualcosa di storico. In effetti, era passato il presidenzialismo in una versione
che assorbiva qualcosa del modello francese. In carica per sei anni, l’inquilino del Quirinale riformato
sarebbe stato eletto in futuro direttamente dal popolo, avrebbe diretto politica estera e difesa, nominando
invece un primo ministro per governare. La riforma concordata a tavola saltò subito all’aria aperta della
Bicamerale, ma resta il fatto che si era trovata un’intesa perfino sul presidenzialismo, vero
babau del parlamentarismo.
Questo per dire che i contenuti della riforme non sono mai stati il vero problema per nessuno; un
onorevole compromesso istituzionale lo si troverebbe sempre tra gente con la testa sul collo, che
guardasse avanti.
Quando Tony Blair approvò la Devolution a favore di Scozia e Galles, firmò una dichiarazione di venti
righe in tutto, 21 con la firma.
Alla prima riga annunciava senza tante storie di voler riordinare e modernizzare la politica britannica.
In 35 righe il segretario di Stato scozzese, Donald Dewar, aggiunse da parte sua una spiegazione che
andrebbe scolpita in Italia. “Questa riforma _ mise solennemente nero su bianco _ non potrà da sola
risolvere il problema delle risorse o dissolvere i dilemmi del governare. Quello che potrà fare è avvicinare
e coinvolgere la gente nelle decisioni che riguardano loro stessi. Ciò potrebbe portare un senso di
appartenenza al dibattito politico e una nuova fiducia nelle nostre faccende”.
Nessun miracolismo; soltanto un’idea alta del territorio e della responsabilità.
Là si respirava lo spirito del federalismo, affogato sul nascere in Italia dalla montante acqua alta della
politica di parte. Altro che patto, dialogo, sforzo bi-partisan, trasversale o super partes per consegnare
a figli e nipoti uno Stato meglio organizzato.
Da un paio d’anni ormai le riforme all’italiana sono agguati di maggioranze. Il Parlamento sembra ospitare
incontri di Sumo giapponese in cui si lotta per scaraventare di peso l’avversario fuori dei piedi.
Trionfa il federalismo acefalo, a pezzi scoordinati, senza un punto di sintesi, senza architettura.
“Sono senza speranza”, ha confessato a Rovigo Luigi Rossi Luciani, presidente degli industriali del
Veneto. E l’economista Renato Brunetta, di Forza Italia, consiglia agli enti locali di non perdersi d’animo
e, nel frattempo, di farsi da soli il federalismo dal basso amministrando a più non posso in rete tra loro.
Decentrare un Paese centralista come il nostro è oltretutto un’impresa titanica e lunga. L’ex ministro
Tiziano Treu sostiene che ci vorranno almeno trent’anni Forse il senatore ulivista esagera un po’, ma non
tanto visto che avvicinareal cittadino il baricentro della macchina burocratica italiana è un processo
che avrebbe bisogno: 1) di una vigile opinione pubblica; 2) di un saggio ceto dirigente.
La prima vede confusione. Il secondo non aiuta a capire. Adesso si fanno le riforme a metro come la
pizza.
La riforma 2001 del centrosinistra mancherà a lungo delle leggi di attuazione;
quella 2002 del centrodestra chissà come sarà alla fine di un altro interminabile iter muro contro muro.
Ma non si fa nemmeno in tempo a superare il primo di cinque voti sulla devoluzione che parte in quarta
il presidenzialismo al salto.
Dopo la devoluzione verde a Bossi, Berlusconi dà il presidenzialismo tricolore a Fini. In realtà, dal primo
minuto in cui scese in campo con la politica, Berlusconi ha sempre pensato al Quirinale come sua seconda
casa.
Non sarebbe lui se non ci provasse, perciò prevedendo un quarto potere costituzionale.
Il legislativo (Parlamento), l’esecutivo (Governo), il giudiziario (Magistratura) e il presidenzialista, il
quarto, il suo sulla carta. Fine del Quirinale notaio e garante come si volle nel 1948.
Oh, non ci sarebbe niente di strano se, alla fine di una bella Assemblea Costituente ad hoc o di un
Parlamento largamente costituente, ne uscisse una nuova Costituzione con pesi e contrappesi fra poteri
federali e presidenziali. La pazzia sta nel metodo, di sicuro non nel federalismo e nemmeno nel
presidenzialismo in sé.
La prima repubblica si guardava bene dal fare le riforme;
la seconda le fa a braccio di ferro. Con la prima, si sputtanò la politica;
con la seconda, s’incasina ogni riformismo. Spero di sbagliarmi di grosso, ma temo proprio che finirà
così.