2002 febbraio 11 La simulazione nel calcio

2002 febbraio 11 – CALCIO SIMULAZIONE

Simulate, ingannate, recitate, fingete, falsate, fate i finti tonti, mentite, tacete la verità, buttatevi
generosamente, inciampate di proposito, atterrate per stanchezza, spaparanzatevi in area,
qualcosa alla fine resterà! Alla Juve – ma é soltanto l’ultimo esempio – sono rimasti in dono un
calcio di rigore irreale e tre punti reali in classifica perché con quel rigore ha vinto una partita
rugginosa contro il Bologna.
Il cascatore di turno é un nazionale, Gianluca Zambrotta, 26 anni, un po’ terzino e un po’ ala, un
buon giocatore tattico che ama soltanto le fasce laterali del campo: il centro degli schemi non fa
per lui. Non porta fama di teatrante; semmai, ha una faccia aperta e uno sguardo di eterno stupore.
Lui é uno che sgobba, corre, crossa per gli altri. Disporrebbe anche di un discreto tiro, ma
ineluttabilmente fuori; tanto vale allora lavorare per conto terzi.
Fatto sta che ad un certo punto lo Zambrotta in questione entra palla al piede in area avversaria e
plana da solo. Nessuno lo ha toccato, nemmeno un moscerino da uva matura, ma lui cade lungo
disteso come abbattuto da un’aquila reale.
Così com’é, l’azione sembra il prototipo di ciò che un calciatore non dovrebbe fare secondo il
codice di autodisciplina comunicato proprio venerdì scorso dall’avvocato Sergio Campana. Dalla
sede nazionale di Vicenza il presidente dell’associazione dei calciatori italiani (Aic) aveva
lanciato ai suoi iscritti un vero e proprio appello per far ricuperare al calcio “immagine e
credibilità”. Da persona seria e di lungo corso, che non liscia il pelo alla categoria, Campana
chiedeva in pratica che lor signori del pallone la smettessero di fare i furbi in campo.
Si riferiva in particolare ai “comportamenti sleali”, alle “plateali proteste”, agli interventi violenti
e, soprattutto, “agli atti di chiara ed eclatante simulazione”. Per punire questi ultimi, Campana
proponeva alla Federcalcio di utilizzare la televisione: se l’arbitro non ha visto in campo,
sanzioniamo il simulatore a tavolino, usando le immagini della Tv.
Zambrotta é scaltro, non fesso. Quando ha visto che l’arbitro lo premiava con un incredibile calcio
di rigore anziché punirlo con un doveroso provvedimento disciplinare, il ragazzo di 26 anni deve
aver provato vergogna. Alla Juve il rigore faceva molto comodo; per lui valeva uno
sputtanamento professionale.
Già in campo si aggirava pentito della gherminella ( termine quest’ultimo caro al lessico di Gianni
Brera), tentando di spiegarsi con qualunque giocatore gli capitasse a tiro. Poi, intervistato alla
fine della partita, Zambrotta sceglieva finalmente di essere leale:” Sì, – ha confessato davanti alle
telecamere – l’arbitro poteva anche ammonirmi per simulazione.” Meno male.
Dell’arbitro di Juve – Bologna, che fra l’altro passa per bravo, non voglio parlare, nemmeno
citarlo. Mi sono stufato degli arbitri italiani che hanno l’aria da padreterni ma un rendimento da
comunissimi mortali, spesso al di sotto della media europea.
Il cronico vizietto di troppi calciatori é la simulazione; il vizio di tanti arbitri é l’istinto di
compensazione. Se concedo un rigore a te, prima o poi ne confeziono uno anche per te. A volte
danno l’impressione di vedere ciò che pensano non ciò che accade, e questo é il più insidioso dei
difetti.
La Juve é la Juve, ma non sta giocando bene. Ha mestiere da vendere, però le mancano soprattutto
i gol di Trezeguet. Dicono gli esperti di ingaggi che il francese sia da tempo seccato perché
incassa un milione e mezzo di euro all’anno, cioè tre miliardi in lire, mentre del Piero ad esempio
firma per quasi tre volte tanto.
Non so, non credo sia una questione di euro. So soltanto che perfino la Roma ha un passivo di
200 miliardi di vecchie lire mentre l’ex presidente della Lazio e della Cirio, Sergio Cragnotti, é
dall’altro ieri indagato dalla procura di Roma per bancarotta pluriaggravata reiterata.
Voglio dire che la cuccagna ha fatto il suo tempo e che il calcio dovrà fare ancora i conti con
nuovi fallimenti.
Capisco la Juve che fa l’avara.