2002 giugno 17 Mondiale di Corea Giappone

2002 giugno 17 – Mondiali in Corea Giappone –

Finora all’Italia è andato storto tutto: o ha giocato male o si è fatta male o l’hanno malamente
derubata. Se oggi continuasse la stessa solfa, facciamola finita e non se ne parli più, vorrà dire che
continueremo a vivere di rendita sui due Mondiali con il saluto romano (1934 e 1938) oltre che su
quello (1982) con la pipa di Bearzot e i sei gol in sei giorni di Paolo Rossi,detto Pablito. Amen.
Però, ragioniamo. In questo Mondiale non si è visto per adesso grande calcio, tranne alcuni
affreschi sparsi qua e là. Penso al contropiede degli Stati Uniti che fa assomigliare un buon
centravanti californiano al nostro Vieri. Penso al Senegal, che sembra giocare con l’aria
condizionata.
Penso all’Inghilterra, che per ferocia tattica potrebbe essere guidata da un Borgia e che sa accendere
di colpo i sentieri luminosi di Beckham per quella volpe di Owen. Penso al Brasile che in difesa si
spalanca spesso e volentieri come un’Arabia Saudita qualunque, ma che poi cela i suoi limiti sotto il
tappeto volante dei Ronaldo e Rivaldo.
Sì, per carità, qualcosa di forte ha bucato il video, ma non a tal punto da scatenare complessi di
inferiorità o sindromi da abbandono. Voglio dire che oggi l’Italia dovrebbe andare in campo con un
a sola idea conficcata nel cervello: questo è un Mondiale più che mai giocabile anche perché ha
perso per strada squadre favorite (Francia Argentina Portogallo) senza inventarsene di nuove. Per
ora ci sono soltanto delle belle sorprese.
I coreani sono gente tosta. Poco tempo fa la tv ha mostrato un gruppetto di giovani iper nazionalisti
che,per protestare contro la visita di un ministro giapponese a Seul, si sono amputati un dito a testa
in piazza, senza emettere un solo lamento. Hanno raccolto in una bandiera l’orrendo mucchietto
portandolo subito a chi di dovere.
Alt! I coreani fuori di testa sono l’eccezione, ma il loro Mondiale offre pur sempre una immagine
patriottica e a tinte forti: al Sud vogliono vincere come la Corea del Nord nel 1966. Il modulo è
olandese, il vento della corsa tutto coreano e i loro sogni pari ai nostri.
Mentre scrivo, ignoro le scelte del Trap, a corto di difensori e in soprannumero di attaccanti. Se
dietro tiene la vecchia tradizione e davanti riparte il nuovo genio alla Totti e alla Del Piero, è fatta.
Il bello dei “se” è che durano poche ore.