2002 maggio 23 La provocazione Veneto-autonomista
2002 maggio 23 – La provocazione veneto-autonomista: l’esempio di Cossiga
Francesco Cossiga, sassarese del 1928, di formazione cattolico-liberale, ha un curriculum politico che
già mezzo basterebbe a fare una carriera emerita. Da presidente della Repubblica «una e indivisibile»
concluse provvidenzialmente il mandato picconando di brutto la partitocrazia, a partire dalla sua
Democrazia cristiana, tanto che la cosiddetta «seconda Repubblica» è un po’ anche sua figlia naturale.
Quest’uomo coltissimo ed eclettico, amante di studi costituzionali, innamorato dell’Irlanda e di tutti i
luoghi forti delle identità, ha proposto in questi giorni un’Assemblea costituente del popolo sardo, con
il compito di redigere il nuovo Statuto, sulla base del quale «confrontarsi» – il termine è suo – con il
governo centrale. Fate attenzione allo spirito e ai contenuti dello statuto di 112 articoli proposto da
Cossiga. Il modello è lo Stato autonomo di Catalogna. La nuova costituzione della Regione sarà
chiamata Noa Carta de Logu, dal momento che viene stabilita la pari dignità tra la lingua sarda e
l’italiano, con l’obbligo dunque di trascrivere l’atto in entrambe le lingue: nel richiamarsi alla radice
della nazione sarda, Cossiga non esita a richiamarsi a una battaglia combattuta nel 1409. La Sardegna,
che nel 1847 chiese la fusione con il Piemonte dei Savoia, diventerebbe con questo statuto una
«Comunità autonoma» e una «nazione individuale e distinta» nell’ambito dell’Italia. La fusione di
autonomismo (radicale) e di patriottismo (istituzionale) viene riassunta da Cossiga con una formula
inedita: «Siamo sardi per origine, lingua e costumi; siamo italiani per volontà». Da politico di
antichissimo pelo, l’ex capo dello Stato unitario oggi padrino dello Stato federalistico sa ovviamente
che per dare voce a quella che lui stesso definisce l’«incompiuta Nazione sarda» occorre una
mobilitazione popolare, un movimento trasversale, un moto di tante forze con un comune obbiettivo.
Anche qui Cossiga si ispira alla Catalogna, dove sinistra, centro e destra sono rappresentate all’interno
della stessa «Convergenza» autonomistica. Qualche giorno fa l’ex presidente ha ricevuto la
cittadinanza onoraria di Chiaramonti, antico centro dell’Anglona, nel nord della Sardegna. Parlando
nell’occasione il sardo linguisticamente illustre, sapete quali termini ha usato il senatore della
Repubblica Cossiga? «Libertade e indipendentzia», riferendosi alla Sardegna, mentre, per riferirsi alla
cultura dominante, ha parlato testualmente di: «Uni cunzettu miope de unidariedade zentralistica», un
concetto miope di unità centralistica. Ah, dimenticavo. Nella Costituzione italiana la Sardegna è già
una Regione di tipo speciale, anzi specialissimo perché modellato subito dopo la guerra sulla Sicilia.
Nello Statuto di Cossiga, la specialità raddoppia. Senza poi contare che l’isola ha da sempre coltivato
una fortissima tradizione di autonomia: subito dopo la guerra, il ceto dirigente sardo sognava
l’eliminazione dei prefetti, un bilancio di tipo svizzero, la «devoluzione» di competenze e perfino un
«governatore», figura quest’ultima che fin dal primo Risorgimento un ministro dell’Interno, il
bolognese Marco Minghetti, aveva inutilmente tentato di introdurre assieme a un timido decentramento
dello Stato sabaudo. Riassumiamo le parole d’ordine di Francesco Cossiga: Storia, Autonomia, Statuto,
Catalogna, Confronto con il governo italiano, Lingua, Nazione sarda, Movimento federalistico,
Indipendenza contro il centralismo non contro l’Italia. Ma tutti questi materiali non danno forse l’esatta
fotocopia di anni e anni di riformismo dal basso invocato senza tregua e senza risultato a Nordest? Sì,
ma stranamente nessuno batte ciglio in questo caso. Cossiga non fa scandalo né il suo autonomismo
ultracatalano provoca titoli indignati sui giornali. Nessuno invoca l’unità della patria in pericolo né
tanto meno si permette di ironizzare su un fenomeno ampiamente anticipato dal laboratorio nordestino,
Veneto in testa. Un fenomeno oltretutto europeo. Basti pensare che, appena messo da Chirac alla guida
del nuovo governo francese, JeanPierre Raffarin ha chiarito di voler opporre alla «politica da
supermercato», lontana dalla gente, la Francia vera, dal basso, la «France d’en bas». Con quali
strumenti, è presto detto: «La regionalizzazione è la soluzione alla crisi», parole sue. All’inizio del suo
primo mandato da presidente del Veneto, avevo chiesto a Giancarlo Galan quale fosse la disponibilità
effettiva, cioè politicamente discrezionale, di fondi sui diecimila miliardi di bilancio regionale. La
risposta dei suoi tecnici fu: centocinquanta-duecento miliardi al massimo, una miseria perché il resto è
blindato e già vincolato. Sono passati anni, credo che in termini assoluti il bilancio sia raddoppiato ma
gli spazi di manovra restano sempre gli stessi: una miseria. L’esempio di Francesco Cossiga, ex capo
dello Stato, insegna come fare gli Statuti o come irrobustire l’autonomia esistente, da Bolzano a
Trieste, da Trento a Udine, per non parlare del Veneto. L’autonomia di stampo europeo non è mai
troppa.
23 maggio 2002