2002 marzo 18 Bossi “Europirla”
Corsivo/Bossi
“Europirla”
Per dare dello sprovveduto a qualcuno, i veneti dicono amabilmente “mòna”, prendendo a prestito
l’organo genitale femminile. I lombardi preferiscono l’organo genitale maschile:”pirla”. Si può dire
in modo definitivo, ”Sei un pirla”, ma anche con tono affettuosamente supplice:”Su,fa no ‘l
pirla”.L’equivalente di una bonaria pacca sulla spalla.
La malaugurata scomparsa di “mona” e “pirla” dai dialetti proverebbe che sono morte due lingue in
un colpo solo e, con esse, anche l’allegria delle parole. Incredibile ma vero, il solo incapace di
sorriderne è il lumbard per antonomasia, tutto padania , polenta e lessico popolano.
Parlo dell’on. Bossi, il quale ha preso cappello per la battuta di “Europirla” lanciatagli tra un lazzo e
una satiraccia dalla geniale combriccola di “Mai dire domenica”, uno dei pezzi forti di Mediaset.
Neanche le inchieste del procuratore di Verona, Papalia, lo mandarono altrettanto in bestia.
Un affare quasi istituzionale. Roberto Calderoni, vicepresidente del Senato non l’ultimo pivello
leghista, ha fatto addirittura un comunicato in piena regola:”…nella stessa trasmissione televisiva
era stato insultato il segretario federale Umberto Bossi definito testualmente Europirla.” E’
uffficiàale, direbbe Aldo Biscardi.
L’on. Bossi pare diventato delicatino di stomaco.Lui ideologo celodurista, adesso non regge
nemmeno un “Europirla” da cabaret milanese.Una volta ammoniva:”Noi ce l’abbiamo duro, non
siamo come i missini che ce l’hanno Fini”, ma ora basta una goliardica europirlata in diretta a
indurirgli più che altro l’umore.
Lui che sganasciava su Alessandra Mussolini “onorevole tette al vento” e che paragonava il prof.
Miglio, sola prestigiosa eurotesta della Lega Nord, a “una scorreggia nello spazio”, sì proprio Bossi
il Barbaro chiede oggi a Silvio Berlusconi di chiarire la faccenda. Cioè di “mettere al bando” gli
allegri cantori del romantico “pirla” da tutte le reti liberali,liberiste e libertarie di Mediaset!
E’ storica l’evoluzione di Bossi. Il nemico della Lega di lotta era Roma ladrona; il nemico della
Lega di governo è la Gialappa’s Band.
Dimmi contro chi vai e ti dirò chi sei.
Commento delitto
Cogne
L’assassina di Cogne é la mamma, hanno detto tre prudenti magistrati:un pubblico ministero, un
procuratore e un gip ( giudice per le indagini preliminari), assistiti da un nucleo molto professionale
di carabinieri. Per sapere se la loro accusa sarà anche la verità processuale,adesso occorre attendere
la sentenza di giudici che non hanno assolutamente nulla a che fare con quei magistrati. Anche se
banale, questo deve essere chiaro.
Agli inquirenti sono serviti 45 giorni per motivare ciò che si mostrava quasi scontato appena un’ora
dopo il delitto. Loro avevano già visto un sacco di cose; noi di strada non sapevamo niente, ma
nell’aria tutti, loro e noi, si pensava la stessa cosa. La mamma di Samuele era troppo lì, troppo
dentro la sua casa, troppo sola, troppo chiusa in due stanze e otto minuti, troppo a corto di tempo e
di spazio, per non diventare l’indiziato numero uno.
E quando all’ultimo lei ha deciso di raccontarsi ai giornalisti, è sembrata – non so come dire –
troppo interessata alla propria innocenza e troppo poco alla verità. Tutto era “ troppo”in lei, perché
le servisse ad allontanare il sospetto schizzato fuori da quella terribile stanza del figlio.
Gli indizi e le esclusioni hanno condotto alla mamma;lei o nessuno, lei o contro “ignoti”. E’
sintomatico che, poche ore prima dell’arresto, il suocero non avesse potuto ipotizzare altra pista che
il mistero :”Tempo fa, – dichiarava infatti Mario Lorenzi a ‘Repubblica’- ho letto da qualche parte
che “il diavolo è tornato a Cogne”. Bene, questa è la mia verità, che c’è qualcosa di sinistro e
davvero inquietante”.
I magistrati potevano incriminare il diavolo?
Mai delitto appare così insondabile nel movente, mai accusa così prevedibile. E’ il paradosso di
Cogne, che spiega anche tanta lunga attesa popolare, tra inchiesta e romanzo, tra curiosità e pietà,
tra immedesimazione e repulsione, tra giallo e retropensieri d’ogni tipo.
Lo psichiatra veronese Vittorino Andreoli pensa che il vero autore di ogni omicidio sia il cervello.
Dunque l’arma più difficile da scovare e catalogare,dove la normalità e la schizofrenia si sfiorano
come luce e buio.
Sul confine ambiguo della mente, le ossessioni provocano lo stesso “ effetto rimbalzo”di certi
potenti psicofarmaci mal dosati, come spiegano i bravi clinici.In questa delicata terra di nessuno,
dove tutto è penombra, anche la crisi di panico di una madre può alludere a un male imminente,nera
tempesta delle emozioni, violenta fragilità dei gesti che , forse, affiorano inconsapevoli, forse
smemorati, chissà.
Quel giorno, in piena notte, la prima chiamata della famiglia Lorenzi al 118 fu fatta per la mamma.
Se la mamma è colpevole, i suoi 45 giorni senza confessione sono più oscuri dei 17 colpi sulla
testina di Samuele. Farebbero pensare a una lucidità shakespeariana, nell’uccidere come nel
mentire, oppure a una dissociazione estrema , entrambe impegnate a seppellire la verità dentro di sé,
con il silenzio, dietro a una porta blindata del cervello.
Il giudice che ha disposto l’arresto, ha citato i romanzi terribilmente umani di Dostoevskij. “Dove –
si é spiegato – contano le persone e non le cose”.
La cronaca dei delitti è piena anche di muri d’innocenza, di pianto, di lutto e di disperazione che
alla fine si sgretolano. Chi può dire adesso che cosa farà la mamma imputata che fino a ieri, più
angosciata che furba, consigliava di cercare l’assassino non nella sua villetta ma nelle strade di
Cogne?
Il ventenne Pietro Maso di Montecchia, dopo 53 minuti di inaudito accanimento sui genitori,
fingeva di darsi da fare come un figlio affranto per scovare gli assassini. Trent’anni fa il cosiddetto
“boia di Albenga” cercò al processo di far credere d’aver sparato alla moglie soltanto dopo che lei si
era suicidata sparandosi.
Erika di Novi Ligure, pozzo nero di efferatezza prima e di dissimulazione poi, accusò del massacro
familiare due albanesi, che descrisse nei particolari, uno grande e grosso con la barba bianca, l’altro
sui venticinque anni. Puntava al delitto perfetto.
In caserma, sicura di non essere ascoltata, bisbigliò al suo bell’ Omar di stare “tranquillo” e di
prepararsi per i funerali della mamma e del fratellino fatti a pezzi con 100 coltellate. Gli
raccomandò anche di vestirsi per benino,in nero, come si conviene a un bravo ragazzo cui scoppia
il cuore di dolore e di amore.
Il delitto di Novi Ligure avvenne a febbraio dell’anno scorso. Dopo mesi di reciproche accuse,
soltanto a novembre Erika confessò senza trucchi e reticenze:”Abbiamo deciso insieme di uccidere
mamma e Gianluca”. Da febbraio a novembre per mettere finalmente nero su bianco la verità.
Secondo le statistiche mondiali dei criminologi, i delitti dello stesso tipo di quello di Cogne hanno
per autore un fratello/sorella maggiore nel 40 per cento dei casi, la mamma nel 30 e un estraneo alla
famiglia nell’altro 30 per cento. Il che vuol dire che, nel 70 per cento delle volte, è un delitto di
casa, simbolicamente intimo, senza intrusi, introverso.
In un celebre processo degli Anni Cinquanta, una “contessa” accusata di aver ucciso il suo amante
rinunciò a presentarsi in aula facendo dire all’avvocato difensore che non le interessava la sentenza
dei giudici ma soltanto il perdono di Dio. Non riesco nemmeno vagamente a immaginare i pensieri
della mamma di Cogne, oggi sola con la sua verità , proprio come quella mattina.
Adesso, anche il 118 tace.Dovrebbe aiutarsi lei. Solo lei.
Non so spiegarmi come vorrei, ma questa mamma accusata di aver massacrato con 17 colpi il
povero indifeso piccolo di tre anni; questa moglie che al marito appena arrivato sul posto del delitto
chiede allucinata “Facciamo un altro figlio?”; questa donna che istintivamente ho immaginato
colpevole, ecco, sento che questa imputata é in ogni caso distante anni-luce dai Maso,dalle Erike e
dai mostri della cronaca nera.
Alla prima domenica dietro le sbarre, la vedo perduta in se stessa: è lei la sua stessa prigione, non il
carcere di Torino. Colpevole o innocente, suscita smarrimento, non gelo.