2002 marzo 24 art18
Con la tragedia, un dramma. Il dramma nazionale di uno Stato che, al funerale del prof. Biagi, ha
dovuto presentarsi in forma privata, con le più alte cariche ridotte al rango di cittadini qualunque.
Paradossalmente, vecchie e nuove Brigate Rosse hanno sempre mirato al “cuore dello Stato”, ma
questo Stato si è visto tenere educatamente alla larga proprio dalla famiglia di un tecnico che ha
lavorato per le istituzioni senza badare al colore politico di governi e ministri.Altro che “schiaffo”
all’Italia per il salone del libro a Parigi; quello di Bologna è stato per il nostro Paese un pugno allo
stomaco che nemmeno l’immensa, prodigiosa piazza umana di ieri a Roma dovrebbe far passare in
secondo piano.
Non facciamo i furbi.Privatizzando lo Stato nel giorno del lutto pubblico la famiglia ha dimostrato
di avere alto il senso dello Stato, nel voler dire che la mancata protezione del professore è un affare
di Stato, il simbolo della pericolosissima inefficienza della sua macchina.
Protagonisti di questa nera faccenda sono ministeri, funzionari, segreterie degli affari riservati,
servizi segreti, dipartimenti, prefetture,questure, circolari governative, comitati provinciali per
l’ordine e la sicurezza, inquirenti. In definitiva, protezioni che non hanno protetto; tagli che tagliano
precauzioni.
E’ lo Stato al gran completo, in parata politica e burocratica. Destinato a fare una enorme fatica
perfino a ricostruire il percorso della “pratica Biagi”, con gli allarmi, le segnalazioni, gli avvisi, le
informative, i brogliacci, i rapporti, le scrivanie di parcheggio, i coordinamenti scoordinati, le
misure a singhiozzo, le scorte come un insensato gioco dell’oca, a Milano sì ma nella sua Bologna
no.
E quando lo Stato riuscisse a venire a capo dei suoi labirinti decisionali, nessuna testa cadrebbe
davvero: al massimo un trasloco di poltrone, istituto italiano questo che fa le veci delle dimissioni.
A dire il vero, con l’eccezione di Cossiga, ministro degli Interni ai tempi del rapimento e
dell’assassinio del presidente della Dc, Aldo Moro.
Onore dunque alla famiglia Biagi che, perso il professore, non ha rinunciato a testimoniare una
lezione civile a futura memoria. Mai presa di distanza dallo Stato, se compresa nella sua crudezza,
sarà altrettanto provvidenziale per uno Stato che continua da anni a incarnare la prima, vera,
radicale riforma tradita.
Sono convinto che lo stesso presidente Ciampi ne sia pienamente consapevole. Anche le bandiere e
gli inni di Mameli tacciono quando lo Stato dà all’opinione pubblica esempi di tanta, distribuita
ottusità.
Purtroppo conta poco domandarsi ora se la protezione del prof. Biagi sarebbe servita o meno a
sventare l’omicidio. Conta soltanto che ciascuno faccia ogni volta il proprio dovere preventivo, a
cominciare dallo Stato, proprio perché l’omicidio politico è un affare di Stato non di partito.E’ tutto
nostro.
I terroristi invadono il campo della società, della politica, e soprattutto delle relazioni tra politica e
società mentre l’economia ristruttura in profondità entrambe. Questo è il loro bersaglio grosso,
popolato da bersagli umani ad alto contenuto progettuale o simbolico, ieri come oggi, se è vero che
fin dal primo “foglio di lotta” del luglio 1970 nemici di classe restano sempre i riformisti d’ogni
appartenenza, la borghesia capitalista, il governo dei padroni ,i “revisionisti” della sinistra e del
sindacato.Termini testuali.
Gli assassini di Biagi, ieri di D’Antona e di Tarantelli , aspirano a generare conflitti prima che a
sfruttarli; ragionano da attori non da spettatori per quanto interessati. Non sono collaterali allo
scontro sociale né al linguaggio più aspro, e nemmeno all’ “estremismo verbale” denunciato da
D’Alema come da Berlusconi.
Sono altro, rispetto a qualunque politica, tanto di centrodestra quanto di centrosinistra.Loro stessi lo
documentano per iscritto: sarebbe stupefacente non credere a ciò che provano ammazzando.
Le parole dell’articolo 18 possono anche essere pietre, ma armano dissenso, protesta, scioperi,
leggi, piazze, divisioni, paure, sospetti incrociati, politica, anche ideologia. L’articolo 18 non ha
armato pistole: le pallottole (di pochissimi) non sono figlie delle parole (di tantissimi), nemmeno
lontane parenti.Non scherziamo con le Br.
Per quanto ruvide, le lotte di democrazia sono l’antidoto liberale contro gli incubi delle rivoluzioni
con il colpo alla nuca. Bisogna catturare tutti i terroristi, non pasticciare i conflitti sociali: a
prendere quelli provveda lo Stato; a superare questi ci pensi la dialettica dei diritti e degli interessi
in campo.
Dicono che il sindacato faccia politica se non ideologia. Se lo fa, ha imparato dalla Confindustria e
dal Governo, che sono stati i primi a radicalizzare l’art.18, trasformandolo in una Bastiglia senza
ritorno, prendere o lasciare. Con il risultato che fino a ieri si sapeva benissimo che cos’era la
vecchia “concertazione” ma nessuno ha ancora capito bene in che cosa consista oggi il nuovo
“dialogo”, così somigliante a un aut aut.
Il sindacato fa benissimo a manifestare a cielo aperto, a discutere,a trattare, a difendere il suo ruolo
e la sua “giusta causa”, che in questa fase è diventata un valore trasversale più di quanto non dicano
i sondaggi Sarebbe davvero pazzesco che fossero i feroci assassini del prof. Biagi a decidere sullo
statuto dei lavoratori .
L’unità contro le Brigate Rosse è vangelo. Non sarebbe male se vigesse un po’ più di unità della
classe dirigente sui diritti.