2002 marzo 25 Brutto campionato
2002 marzo 25 – Campionato
Avvertenza. Confesso subito a chi mi legge di aver scritto queste righe ieri mattina, sapendo
soltanto che la Juve aveva portato a casa da Parma il profumo del prosciutto e nient’altro, ma
ignorando del tutto il risultato di San Siro tra Inter e Roma. Così, senza conoscere la nuova
classifica dello scudetto 2002, ho fatto un giochino da cartomante, come leggere il futuro tricolore a
luci spente e a scatola chiusa, rischiando anche figure barbine. Però divertenti.
Ecco. La Juve è forte e brutta, dunque è oggi la squadra più rappresentativa del calcio italiano,
giocato a sua immagine e somiglianza. Tale Juve, tale Italia, voglio dire un football di muscolo e di
contatto, tutto impegnato a strozzare gli spazi altrui e a sintetizzare al massimo i propri: se lo
facesse scandendo i tempi con il metronomo dei piedi dolci, sarebbe una goduria dell’occhio. Ma
questa è una Juve che dispone dei suoi due purosangue soltanto al 50 per cento.
Parlo di Thuram e di Del Piero, un difensore campione del mondo e un attaccante aspirante tale.
Sono in assoluto i due che conoscono meglio quel complicato attrezzo che è il pallone, tanto che se
Thuram fosse il vero Thuram e Del Piero il vero Del Piero, a quest’ora Casa Agnelli farebbe molto
probabilmente un sacco di progetti.
Il fatto è che entrambi sono la controfigura di sè stessi, quasi che l’originale si fosse perso chissà
dove: a volte, sembrano dei “falsi” d’autore. Il loro sotto-rendimento impoverisce di tecnica gli
spazi strategici, contribuendo a fare della Juve una squadra poco femmina, solo virile e dal gioco
ibrido, un po’ melmoso, di rado assimilabile allo spettacolo.
Giorni fa ho visto il Liverpool triangolare per un’ora con la palla sistematicamente a terra,
sbagliando pochissimi tocchi perché gli inglesi conservano il ritmo (della tradizione) e coltivano ora
la tecnica (dei latini). Cambiare canale dal nostro campionato al loro, è un salto in alto, anche dal
punto di vista coreografico.
Basti pensare in che condizioni gioca la Juve, sicuramente penalizzata minimo di 3/4 punti dal suo
stadio, cordiale come il cemento e con una media settimanale di ventimila spettatori in meno
rispetto sia all’Inter che alla Roma e al Milan. Vuoi mettere l’incomparabile San Siro oppure
l’Olimpico, che per la Roma organizza un pienone festante anche se arriva l’Atalanta?
Quest’anno non ho mai creduto che la Juve potesse vincere lo scudetto. Conserva intatto l’orgoglio
di sapersi Juve, su questo non ci piove, però è troppo generica, troppo ingolfata. E in panchina non
ha tutta gente da Juve: ad esempio, che ci sta a fare lì uno Zenoni, bravissimo ragazzo però?
Se la Juve vincesse il campionato, vincerà certamente la “squadra”, un collettivo intendo, ma una
squadra da non specchiarsi. Dovremmo attendere il Mondiale di fine maggio per rifare gusti e
sapori del calcio.
Se ce la fa l’Inter, vuol dire invece che oggi in Italia si può vincere lo scudetto anche senza squadra!
Parlo sul serio, non per paradosso, osservando che l’Inter resta meno “squadra” sia della Juve che
della Roma anche se le supera entrambe per capacità di invenzione.
Sta nel talento il segreto dell’Inter, riordinata a fondo da musoduro Cuper ma tuttora anarcoide e
individualista, in affidamento al genio più che allo schema. Adrenalinica fino all’osso, la quasi-
squadra di Massimo Moratti è il Pantheon dei grandi solitari del gol-partita, da Seedorf a Recoba a
Vieri, in assenza di Ronaldo.
Ma ieri Ronaldo era, bene o male, il terminal della geometria; adesso i suoi solisti sono tutti grandi
cani sciolti di razza. Mordono per istinto, non a comando del gioco.
Come squadra-squadra, ci capiamo, la Roma rende più dell’Inter e della Juve. Della Juve si vede
l’aerodinamica, dell’Inter la velocità di punta, della Roma l’assetto: sarebbero tre scudetti
tecnicamente nemmeno parenti, tre spot di un calcio che spesso non riesce a trovare un
compromesso tra la classe e la corsa.
La mia prima idea era questa: che Inter e Juve si sarebbero giocate quest’anno il secondo posto, alla
fine precedute di un solo punto dalla Roma. Un punticino di misura a vantaggio della sua stabilità:
difesa sudamericana più il meglio del vivaio nostrano in attacco, da Montella e Totti in ordine
alfabetico.
Ripeto cortesemente l’avvertenza dell’inizio: il lettore sa che cosa è successo ieri sera a San Siro, io
mentre scrivevo no. Mi affido alla sorridente magnanimità del popolo del pallone.