2002 novembre 4 Antonio Cassano
2002 novembre 4 – Cassano
E’ il calcio a getto continuo, appena sotto la doccia e tra 48 ore di nuovo in campo. Cambia tutto. I
cosiddetti “titolari” a vita, fuori squadra soltanto per infortunio, sembrano oramai eroi
risorgimentali.
Tra campionato e coppe oggi regna sovrano il “turn over”, in base al quale le più instabili
formazioni della storia del football hanno soltanto il compito di sfruttare al meglio 25/30 giocatori
standard, possibilmente in serie, dunque inter-scambiabili. Tutti dovrebbero sentirsi titolari, nessuno
riserva. Dare della “riserva” a qualcuno può costare una querela per diffamazione a mezzo stampa
con tanto di risarcimento danni.
In questo manicomio, la Juve rischia di perdere a Modena dovendo tenere in panchina Del Piero in
base ai test medici che lo danno “stanco” morto. Quando poi lo buttano finalmente in partita, il
presunto stanco si mostra fresco come una rosa, mette dentro i tre punti finali con una carezza di
testa e, sia pure in fuorigioco, esegue di sinistro dai 16 metri il tiro-gol più trigonometrico
dell’intera giornata. Che bravo.
Al contrario, l’Inter toglie Crespo, e funziona meglio. La Roma tira fuori il campione del mondo
Cafu, e si riprende. Secondo me, più che a un’arte il turn over finisce per assomigliare sempre di più
al Superenalotto, gioco affidato al destino.
Il girotondo fra tutti/titolari e nessuna/riserva fa naturalmente qualche vittima, vedi Antonio
Cassano di Bari, anni 20 all’anagrafe anche se ne dimostra 10 in disciplina. Cassano sarebbe un
genietto con i piedi, e a volte s’illumina d’immenso che è un piacere guardarlo.
Solo che, nella Roma, ha incontrato un tecnico come Fabio Capello, che con i giovani virgulti ha la
tenerezza di un Tir. Lui li vuole votati al sacrificio, militarmente al servizio della squadra. Capello
appartiene alla scuola di pensiero che misura i fuoriclasse da come piazzano il talento dentro gli
schemi e, dunque, maltratta gli aspiranti fuoriclasse in vena di anarchia tattica.
Non reggendo lo stress pedagogico di Capello, l’altro ieri Cassano ha mollato la squadra e ha fatto
rispondere al telefono la mamma:” Antonio sta bene ma non vuole parlare”, ripeteva la malcapitata.
Cosa non deve fare una mamma del calcio-business. Sì, perché il ragazzo che si nega al telefono e a
Capello è stato comperato dalla Roma per 60 miliardi di lire e prende di salario cinque miliardi
all’anno.
Per l’atto di insubordinazione pare che debba aspettarsi dalla società una multa di 60 mila euro, ma
questi benedetti 120 milioni circa di vecchie lire corrispondono – tanto per capirci bene – soltanto al
trenta per cento dello stipendio lordo mensile di Cassano! Voglio dire che se a 20 anni vali 60
miliardi e quello stipendio, è chiaro che il girotondo del turn over può darti alla testa.
Con certe quotazioni, qui si sentono subito Pelè. E i Pelè di primissimo pelo muoiono di panchina;
rivendicano genio e sregolatezza; ne hanno piene le scatole dei tecnici che li considerano
presuntuosi e immaturi.
Una sola cosa è sicura. Questo è un calcio che strangola sempre di più i tempi (fisici) del ricupero e
i tempi (mentali) della fantasia.
Non solo. Sarò esteticamente fissato, ma il regolamento e gli stessi arbitri contribuiscono non poco
a rovinare la qualità del gioco e l’equità distributiva.
Mi riferisco alla regola che punisce l’intervento difensivo dell’ultimo uomo con il calcio di rigore e
con l’espulsione! Ma cosa si aspetta a eliminare questa paranoia repressiva, che ieri ha colpito la
Roma e, a San Siro, la Reggina?
E’ una cosa senza senso, del tutto sproporzionata, che per un solo intervento falloso segna
definitivamente la partita. In compenso, gli arbitri continuano imperterriti a tollerare cinicamente il
gioco più duro, più intimidatorio, più pericoloso, vedi il portiere Peruzzi (Lazio) in uscita o il
terzino Kaladze (Milan) in tackle. Non si vede un’espulsione diretta per contrasto violento
nemmeno a pagarla oro.
Forse per questa ragione è sempre più difficile “giocar bene” in Italia anche in testa al campionato.
L’Inter vi provvede nel frattempo con i suoi assi e i suoi estri, alla Recoba.
Ieri è toccato allo sport il compito di voltare pagina, anche la più dolorosa. Ieri il calcio ha fatto un
minuto di silenzio sui campi. Qui in pagina una riga di silenzio non si può fare, ma anche tra i
boatos del calcio è possibile un retropensiero, un pensiero di bambini.
Uno stato d’animo senza sonoro.