2002 settembre 19 Fumo-vino Fare il medico significa curare
Corsivo/ Fumo-vino
Fare il medico significa curare. Se, dopo che la scienza medica ha provato tutto il male che fa il
fumo, un medico si mostra ancora mentre fuma, il suo messaggio personale ridicolizza la
professione di 340 mila medici italiani.
Come dire: abbiamo scherzato. Oppure: sì, fumare fa male ma non esageriamo. O, peggio
ancora:vale per te, ma non per me. E anche:predico bene ma razzolo malissimo. Se non banalmente:
chi se ne frega.Quando poi un medico fumasse in ospedale, in ambulatorio o in clinica,
infrangerebbe non un divieto ma il pudore.
E’ importante che l’Ordine professionale abbia invitato i medici “a dare il buon esempio”. Avrebbe
forse dovuto aggiungere un tassativo “finalmente”.
Parecchi anni fa il prof. Umberto Tirelli, del centro oncologico di Aviano, mi raccontò di aver
smesso di fumare subito dopo un congresso mondiale a Houston, dove si sentì come un verme per
aver acceso una sigaretta al bar durante la pausa dei lavori. Si vide osservato con tale disistima dai
colleghi medici che decise di passare per sempre tra i non-fumatori. E non si è mai pentito.
Non sta dando invece un esempio lungimirante il Friuli-Venezia Giulia. Avendo il governo
abbassato da 0,8 grammi/litro a 0,5 il tasso alcolemico consentito nel sangue di chi guida, il
consiglio regionale ha approvato all’unanimità (presenti 20 consiglieri su 60) un ordine del giorno
che invoca il ripristino del valore più tollerante.
Personalmente sono convinto quanto i friulani che il vino sia una cultura dell’anima oltre che una
bevanda del corpo, ma i morti sulle strade sono una tragedia non una scampagnata. Perché tutti
possano bere in libertà e letizia, basta che resti sobriamente nei limiti – due bicchieri di vino – il
solo guidatore.
Il vino e la vita. Così si potrà perfino dire:In vino securitas.
Racconto/ Mai anti-americano
Per me l’America è una jeep che si ferma sotto casa, in piazza a Paese, a pochi chilometri da
Treviso.Mio padre, che era segretario comunale, ci disse:”State buoni, adesso è tutto finito.” Io
avevo sette anni, il terzo di quattro figli.
I tedeschi si erano ritirati dopo aver smontato la loro mitragliona anti-aerea piazzata in mezzo all’
orto. Con l’arrivo degli americani era come se fosse arrivata la fine della guerra, e guardando dalla
finestra anch’io vedevo una cosa: che in piazza la gente era tutta contenta.
Requisirono al pianterreno della nostra grandissima casa comunale le stesse stanze occupate prima
dai tedeschi. Fin da bambino, mi restano due sensazioni forti.
I tedeschi erano soldati, gli americani mi apparivano amici. E poi i tedeschi avevano solo le armi,
gli americani tutto: per me, la loro diversità era buona come la cioccolata che facevano fuori in gran
quantità. O poteva essere respirata nell’aria con l’aroma carnale delle loro sigarette.
Durante gli anni della guerra, uno zio teneva nel cassetto del comodino tutta l’attrezzatura per farsi
dei sigari magri,corti, duri e scuri. Al confronto con le Chesterfield, ne ricordo l’odore autarchico,
rurale,da trappisti.
Il mio primo giocattolo furono le jeep parcheggiate in giardino. Ero sicuro che gli americani
avessero vinto la guerra per merito di quelle macchinette tutto fare, che non avevano paura di nulla .
Non potrò mai essere anti-americano, mai. Un giorno ne parlavo con Arrigo Cipriani, lo storico oste
di Venezia e di New York, e lui concludeva:”Abbiamo troppi ricordi per permetterci il lusso di
esserlo.”
Per me l’America resta sempre il nemico che per fortuna ha vinto la guerra contro l’Italia.E’ il solo
nemico amato come un fratello che ti salva. Senza gli Stati Uniti, un bambino europeo avrebbe
avuto soltanto un avvenire: Hitler o Stalin, il lager nazista o il gulag comunista.
Quando Charles Dickens, il mitico romanziere inglese di Davide Copperfield e di Oliviero Twist,
fece un viaggio in America, fu colpito da due cose. Là non esisteva dispotismo e , per trovare
lavoro, bastava chiederlo.
Se al liceo mi scoprii liberale, lo dovevo alla lettura casuale di un libro usato di Pietro Gobetti e
alla pubblicazione a dispense delle prediche inutili di Luigi Einaudi ma anche a una edizione a
metà prezzo della rivoluzione americana, avventurosa né più e né meno che come il Far West di
Tom Mix.
Quella degli Stati Uniti era la prima Costituzione al mondo che parlava dei diritti del cittadino.
Parlava anche di me, in parole povere, senza alcun “ismo” in camicia bruna,rossa o nera.
Da allora, dell’America vedo prima la statua della Libertà e poi il Pentagono. Prima un militare di
nome Marshall che ci sfama nel dopo guerra e poi i marines.
Prima un Paese con centinaia di fedi religiose senza una sola chiesa di Stato e poi la super
Potenza. Prima le sue grandi guerre giuste e, dopo, le sue guerre discutibili o sbagliate.
Quasi nessuno ricorda che, durante la prima guerra mondiale, gli americani persero in un solo anno
e mezzo sul fronte francese 116 mila uomini, più del doppio che in Vietnam. E del Vietnam furono
proprio il cinema americano, il giornalismo americano, la letteratura americana a raccontare gli
errori/orrori.
La libertà e la democrazia sono minoritarie nel mondo; anche per questo circola tanto sentimento
anti-americano . Il fondamentalismo islamico non combatte la fame dei diseredati ; combatte una
civiltà laica incessantemente occupata a ridiscutere a fondo a se stessa ma sempre con una mano
sulla bandiera a stelle e strisce.
L’America discute anche in queste stesse ore di fronte al drammatico che fare? con Saddam
Hussein.E’ l’America di sempre, una democrazia molto speciale anche all’obitorio dell’11
settembre 2001, con vittime di 91 nazionalità in un solo luogo. Un grande Paese, né isola di Utopia
né tanto meno impero del Male.
Il prof.Arthur M. Schlesinger era il più ascoltato collaboratore del presidente democratico Kennedy,
al quale consigliò ad esempio di favorire nell’Italia degli anni ‘60 l’incontro della Dc e del
socialista Pietro Nenni nel primo centro-sinistra.Questo illuminato studioso spiegava la ciclica
alternanza di potere e l’incessante riformismo dell’ America con questa immagine:”Siamo
riformatori in primavera e l’estate; ci atteniamo all’antico in autunno e inverno.Siamo riformatori al
mattino, conservatori la notte.”
Qualche secolo fa, quando imboccarono il fiume Hudson, i primi esploratori olandesi comperarono
dagli indiani l’intera isola di Manhattan per 25 dollari di oggi, meno di 50 mila lire. Dopo
l’abbattimento delle sue Due Torri, Manhattan non ha più prezzo né civile né militare né umano:fa
ripartire tutt’altra storia dell’America.
E io non mollo la mia jeep, che arriva sotto casa con la cioccolata e con la libertà visibili anche a un
bambino del 1945.