2003 gennaio 13 Veneti 1951
2003 Gennaio 13 – Veneti 1951
Mario Fazio, giornalista e scrittore, vive nella sua Liguria. E’ stato anche presidente di Italia Nostra.
Negli anni Cinquanta, quand’era giovanissimo reporter in giro per il mondo, raccontò le storie degli
emigrati italiani, particolarmente in Australia, Argentina e Venezuela.
Le ricerche più puntigliose dicono che in Australia gli italiani sono più di 600.000, seconda
comunità straniera dopo i dieci milioni di inglesi, mentre 135 mila risiedono in Venezuela.
L’Argentina è un caso a sé visto che in tre ondate, dal 1876 al 1950, accolse tre milioni di italiani,
quasi pari alla popolazione dell’intera Albania di oggi o alla metà di quella di Israele.
Sulla “Stampa” di Torino, Fazio ha rievocato le sue esperienze dirette. Correva l’anno 1951,
all’arrivo in Australia.
“Dopo le visite mediche e doganali – ricorda – avveniva una tacita selezione:da una parte veneti,
trentini, friulani, alti e robusti, vestiti con cura. Non cercavano un pane ma un lavoro migliore.
Dall’altra i meridionali, dei quali venivano subito distrutti i fagotti contenenti salsicce piccanti,
provoloni, capicolli, ritenuti possibili veicoli di infezioni. Per i nostri calabresi e siciliani,
provenienti da zone poverissime, privi di ogni nozione di inglese, l’inserimento era difficile.”
A Melbourne conosce fra i tanti Angelo Menegazzo, sbarcato povero in canna prima della guerra
ma già diventato ricco. “Classico contadino veneto, capelli bianchi, sobrio e dignitoso – racconta
Fazio – mi accompagnò a visitare la sua tenuta di Werribee, dove vivevano quattro fratelli con
sorelle e cognati, una cinquantina di nipoti. Era orgoglioso della sua villa ma soprattutto
dell’enorme frigorifero e del radiogrammofono che cambiava i dischi automaticamente. C’è in
Italia?, mi chiese.”
In piazza Bolivar a Caracas, capitale del Venezuela, gli emigrati si ritrovavano vicino alla
cattedrale, lungo un muraglione. Lo chiamavano “il muro del pianto”, sito della nostalgia comune.
In Atlantico, sulla rotta per l’Argentina, si incrociarono molto da vicino due navi, una che andava,
l’altra che veniva. Tra saluti e reciproci sventolii , uno degli emigranti sulla via del ritorno urlò:”
Che cosa andate a fare? E’ meglio starsene in Italia.”
1951, delusioni, fatiche e grandi speranze.