2004 aprile 4 Contro chi combatte la Lega di Bossi
2004 aprile 4 – Contro chi combatte la Lega senza Bossi
Il 3 marzo scorso una signora aveva telefonato a Radio Padania con tono quasi materno: «Ma chi glielo
fa fare al povero Bossi di stare a lottare con certa gentaglia, che poi gli fa anche male alla salute». Un
presentimento, con quella vita che faceva Bossi prima della malattia. I segretari provinciali
raccontavano che era capace di arrivare nelle loro sedi a mezzanotte senza nemmeno aver avvisato. I
leghisti hanno pregato per lui come per un comandante ferito. Non c’è da meravigliarsi se dopo quasi
vent’anni la radice resta popolana, devota al capo. Oggi si dice leader, ma Bossi è un’altra cosa rispetto
a un classico leader. Piaccia o no, incarna anche fisicamente il suo movimento, nella brutalità del
linguaggio, nei sacrosanti ricatti della politica tutta «marketing» (definizione usata in queste ore da
Casini), perfino nell’abbigliamento paesano e nel sentirsi geneticamente nordista: «Guai a chi fa la
guerra al Nord» è uno dei suoi più consumati anatemi. Una volta a Padova, rivolgendosi ai suoi
parlamentari, tuonò: «Voi non siete nessuno. Vi ho fatti io». E quando Bush fu eletto presidente degli
Stati Uniti, si dichiarò soddisfatto anche per una questione di cucina: «Lui è tex-mex, disse, cioè
TexasMexico, cultura texana di Bush, messicana e cattolica della moglie. Quindi la cultura
tradizionale, la famiglia tradizionale, i fagioli alla messicana cucinati dalla moglie e non il riso alla
cinese dei Clinton». Oggi, dopo un mese di silenzio forzato, si sente la mancanza di Umberto Bossi.
Per forza; la Lega Nord è lui, se manca lui, la Lega diventa un’altra cosa. Alla lunga sarebbe un partito
probabilmente come gli altri. Non un movimento di protesta che s’inventò un vuoto settentrionale, ma
il vuoto di partito lasciato da un leader senza replicanti. Per tentare di simulare la presenza di Bossi, si
sono mossi soprattutto in quattro, più per spontaneismo che per accordi di corridoio. I quattro sono i
ministri Maroni e Castelli oltre che Cè e Calderoli, uomini di riferimento in Parlamento. Si sono anche
specializzati per così dire. Non in temi di facciata come potevano essere la famiglia, lo sviluppo, la
sicurezza, i mostri globali dei passati programmi. No, no, qui hanno fatto un’operazione intelligente,
tutta sull’attualità d’impatto, al cento per cento capace di bucare il video elettorale. Maroni ha preso in
mano il calcio a furor di popolo, impedendo a Berlusconi di spalmare scandalose benemerenze nel
settore più sputtanato d’Italia. Castelli, dopo aver polemizzato con la Francia per l’ospitalità a un
assassino quale Battisti, è adesso felice come una pasqua di rappresentare il maggioritario partito del no
alla grazia per Sofri. Prendendo a pretesto il tema degli immobili pubblici, Cè ha scelto come bersaglio
i vecchi partiti e le nomenklature parlamentari. Calderoli presidia la devolution dai rituali richiami
all’unità e/o alla patria. Capisco la Lega. È senza Bossi e ha un Berlusconi disperatamente a caccia di
voti tra gli alleati di centrodestra. Berlusconi ha organizzato una campagna elettorale totale, da padre
padrone di Forza Italia più che da presidente del Consiglio. Sta non per nulla facendo di tutto per far
passare nell’immaginario collettivo la seguente equazione ad alta personalizzazione: mio è il partito
mio il governo; per premiare entrambi, dovete premiare soltanto me. O perderemo tutti. Senza Bossi, la
Lega non può che gasare il linguaggio, scegliere bersagli chiari, «ricattare» la sua presenza al governo
ora sulla devolution ora sui favori al calcio. Deve per forza farsi identificare in cabina elettorale
attraverso i robusti no proprio a Berlusconi, che insegue i voti annunciando la madre di tutte le
promesse elettorali: la riduzione delle tasse supergiù a un mese del voto. La Lega aggredisce per
legittima difesa. Da un annetto, la leadership di Berlusconi non riesce più a esaurire in sé il
centrodestra. Fino a che si parlava di tante «anime» da conciliare, lo scenario sembrava almeno
politico; oggi fioriscono come la primavera gli interessi nudi e crudi, gli scontri personali, la corsa a
mettere il proprio marchio di lista – non di coalizione – sui provvedimenti di presa elettorale. Dice
Berlusconi che con Bossi sulla scena ci sarebbe qualche problemino in meno. Non è una novità che,
nonostante anni da querela e leggendari insulti tra i due, Berlusconi abbia più affinità con Bossi che con
Fini o Follini. Forse li uniscono la non politica o, meglio, la politica diretta detta populismo. Ma
nemmeno Umberto Bossi sarebbe potuto sfuggire a un dato di fatto: Berlusconi fa campagna per
Berlusconi con i potenti mezzi di Berlusconi. La Lega, con o senza Bossi, non poteva stare a guardare
il doppiopetto in azione.
4 aprile 2004