2004 dicembre 5 Tasse, niente sceneggiate elettorali
2004 dicembre 5 – Tasse, niente sceneggiate elettorali
Ingenui di tutto il mondo unitevi. Anzi uniamoci noi inesperti, creduloni, gente alla buona che certo
non sente il bisogno di porte a porte, infedeli, primi piani e ballerei o ballerò per farsi spiegare ad
esempio l’inconciliabile bipolarismo tra una bella fetta di salame casalingo e un hamburger globale. Un
fatto è un fatto, un’opinione resta un’opinione. Per colmo di ingenuità noi eravamo convinti che
l’aritmetica della politica dovesse funzionare da carta bollata per tutti, e che almeno le tabelle delle
tasse, i numeri, le cifre, le aliquote, i conti, le detrazioni, le percentuali servissero da onesta bussola per
i contribuenti e da giusta premessa per il ring politico. Contro lo spaccio delle “verità” e delle
“certezze” all’ingrosso, il modernissimo filosofo Karl Popper raccomandava che tutte le critiche
fossero condotte per gradi. Nei nostri frangenti fiscali, il buonsenso consiglierebbe uno schema che più
semplice di così si muore: il governo chiarisce i provvedimenti presi e che cosa ha deciso,
l’opposizione spiega invece se approva qualcosa, come e quanto si sarebbe differenziata e ciò che
proprio avrebbe evitato di brutto, ma entrambi dando per accertati se non altro i dati messi nero su
bianco. Come non detto, sono diventati opinabili anche i dati. Forse per questo il governatore della
Banca d’Italia ha suggerito l’altro ieri di introdurre l’economia come materia d’insegnamento nella
scuola media. Mai registrata infatti tanta frana dei parametri di riferimento, anche minimi come uno
zero virgola zero. Il “dialogo” invocato da tardo romantici e neo ottimisti ha finora esibito niente altro
che una esilarante sequenza di “falso, falsità, menzogna, non è vero, è una bugia” oltre che, beninteso,
della sequenza contraria. Cioè non si passa nemmeno a mettere sul tavolo le opinioni pro e contro
perché i dati di base subiscono già in partenza la mannaia del falso/vero, che trasforma
l’inconfutabilmente vero di uno schieramento nell’inconfutabilmente falso dell’altro e viceversa.
Giorni e giorni di piazzata televisiva hanno fabbricato soltanto nebbia, con l’apprezzabile eccezione
degli artigiani di Mestre rappresentati da Giuseppe Bortolussi. Il loro ufficio studi è diventato da anni
punto di riferimento nazionale per chi voglia fare chiarezza su questo o quel problema, tutti resi
doppiamente complicati dall’abnorme quantità di leggi e dalla terrificante cultura burocratica del nostro
Paese. All’inizio del secolo scorso fu giudicata peggio che demagogica la politica fiscale dello statista
Giovanni Giolitti che, tra una cosa e l’altra, alzò la soprattassa sul vino ma abolì il prezzo politico del
pane. Allora, quando l’avvento della televisione era ancora lontanissimo, bastava andare all’osteria e
dal panettiere per verificare alla svelta. Demagogia quella? In questi giorni si incontrano
contemporaneamente titoli come “colpiti i più poveri” e “tutelati i redditi più bassi”. Al confronto, i pur
veementi tempi dell’ultimo Giolitti sembrano ricavati da Biancaneve e i sette nani. E sì che sarebbe il
momento buono per parlare agli italiani senza sceneggiate elettorali, a testa alta, sapendo benissimo che
le tasse sono da anni e annorum doverosamente sul tappeto e che aspettano al varco ogni governo. Le
indagini di questi giorni documentano che circola tra gli italiani molto realismo, che il loro primo
pensiero sono i prezzi al consumo, che la gran parte tiene i piedi ben saldi sul presente piuttosto che
svolazzare sul futuro. Gli studi confermano inoltre che la madre di tutte le nostre questioni fiscali
rimane l’evasione, in media 46 euro sottobanco ogni 100 dichiarati ma con il Sud che supera ogni
immaginazione contabile: 99,5 euro nascosti al fisco ogni 100 dichiarati. Record mondiale, secondo
me. In queste ore il rebus è tuttavia un altro. Silvio Berlusconi ha impugnato le tasse prima contro i
suoi dubitanti alleati del Ni, poi contro il No preventivo della dottrina Prodi. Se il match politico sarà
tutto da giocare, si può già certificare che il contribuente italiano continuerà a ricevere messaggi
confusi e interpretazioni del tutto inconciliabili. La sola cosa utile da fare sarà trascurare la cagnara di
fondo, verificare solo nelle proprie tasche e, in base alle proprie tasse e/o non tasse del 2005, avviarsi
finalmente informati dalla realtà al voto politico della primavera del 2006. Un po’ come ai tempi di
Giolitti, senza salotti televisivi, andando al sodo con il vino e il pane.
5 dicembre 2004