2004 dicembre 6 Fairplay
2004 dicembre 6 – Fairplay
Ha ragione Fabio Capello, e se allenasse ancora la Roma, avrebbe ragione lo stesso. La sua Juve ha
quattro punti sul Milan, dieci sul capolavoro Udinese e quindici sull’Inter ma avrebbe ragione
anche se si trovasse, si fa per dire, in zona-retrocessione. E’ ora di finirla con il presunto fair play di
buttare il pallone fuori campo ogni volta che un calciatore frana a terra soltanto per interrompere il
gioco ma con tali e tanti rotoloni in serie, smorfie di dolore, lamenti, contorsioni e incomprensibili
sofferenze da farlo sembrare colpito da una fucilata .
Oggi come oggi abolirei perfino l’espressione fair play che, assieme alla lealtà sportiva,
richiederebbe un ambiente franco e abituato alla schiettezza. Siccome il romanticismo ha girato
l’angolo da un pezzo, tanto vale allora archiviare il nobile e virile fair play degli anglosassoni, non a
caso padri del football e del rugby, per sostituirlo con un termine sulla carta meno impegnativo: il
pudore, un po’ di pudore professionale e professionistico, una molto modica quantità di rispetto per
il proprio mestiere esibito alle folle.
Si scopre l’acqua calda, ma la simulazione sta diventando un’arte ogni anno più raffinata. Dicono
che il gioco si sia fatto più veloce, fisico e organizzato, e che dunque moltiplichi gli effetti di un
contatto anche minimo di spalla o stinco. Tutto vero, non fosse che gli specialisti della caduta libera
ci campano sopra da tempo, si sentono a proprio agio facendo le marionette, credo si allenino
durante la settimana non per imparare a restare in piedi ma per cadere il più rovinosamente
possibile, beffando in un colpo solo spettatori, avversari e senso del gioco.
Sfido io che, a forza di pantomime, il tempo effettivo di una partita diminuisce spesso a percentuali
grottesche. Il grosso del gioco va infatti sotto la voce tempo perso.
Gli arbitri ci sono e non ci sono. Dispongono di guardalinee, di quarto uomo e di nuove tecnologie.
Sanno di essere circondati da un bosco di telecamere e di moviole. Conoscono a menadito sia il
regolamento sia il manuale dei simulatori, i quali hanno anche il vizietto della recidiva, e pur
tuttavia ogni arbitro fa ciò che gli pare, punendo, tollerando o guardando altrove.
Siccome è dimostrato che gli arbitri sono ondivaghi in materia, Capello ha fatto benissimo ad
avvertire che d’ora in poi i giocatori della Juve si fermeranno, buttando fuori il pallone, “solo se
qualcuno si farà male alla testa.” Ha usato l’esempio brutale per rompere il tabù del supposto fair
play, per stanare un malcostume e per tentare di rompere la tattica vincente dell’ipocrisia.
Dico “tentare” dal momento che il pallone ha una pancia in grado di far passare di tutto, secondo
l’arcinoto meccanismo. Una buona idea viene retrocessa a provocazione. Sulla provocazione si
costruisce per un paio di settimane lo scandalo. Di solito i poteri del calcio aprono il dibattito in
federazione, tra i club e tra gli arbitri.
Alla fine il fantastico trigoleador Adriano, gli erotici 8 minuti e mezzo del Milan e il velluto di
Ibrahimovic aiutano giustamente a dimenticare. E tutto si placa fino alla prossima provocazione,
con la sola eccezione dell’avvocato Sergio Campana che, dal ponte degli Alpini di Bassano,
continua da 40 anni a ricordare che il calcio si perderà senza fair play.
Lui lo chiama sempre così, io pudore.