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2004 febbraio 1
Ci sono istituti di studi che studiano gli italiani dalla mattina alla sera, come il Censis, l’Eurispes e
Parmalat! C’é poco da meravigliarsi per l’aggiunta che faccio. Parmalat fabbrica buonissimo latte e
debiti da mille e una notte, ma da un paio di mesi funziona anche come uno specchio deformante
collettivo e come un parametro che misura il nostro rapporto con l’economia.
Il risultato di tutti e tre gli studi fa concludere che gli italiani sono fenomenali. Un grande popolo
che ha capito tutto e che, nonostante il degrado politico, continua a fare una enormità di cose come
se niente fosse, spesso sostituendo lo Stato con la famiglia e lo Stato sociale, che non basta, con le
reti di volontariato e con i personali salti mortali. L’arte di arrangiarsi, prototipo del Sud, é diventata
filosofia del Nord.
Ho letto ieri un titolo:”L’Italia si scopre pessimista.” Non si scopre; é. Si dichiarasse ottimista,
sarebbe un Paese da manicomio.
E’ pessimista per legittima difesa, per darsi ancora di più da fare, per tenere a bada gli incantatori di
serpenti elettorali. Il pessimista dimostra realismo, lavora sodo proprio perché non si illude né si fa
ammaliare dai presunti “miracoli” di turno
Siccome ha una popolazione sempre più vecchia, l’Italia starebbe però perdendo mordente,
creatività, slancio. Intanto, su questa faccenda dell’invecchiamento dovremmo metterci d’accordo
una volta per tutte decidendo finalmente se lo si considera un progresso umano, legato alla buona
sanità e ai provvidenziali schèi del benessere, o una sciagura sociale da risolvere con l’eutanasia a
carico delle Asl.
Non vedo un’Italia sedentaria e imborghesita, da terza età del Prodotto interno lordo. Anzi, un Paese
che continua a inventarsi ogni economia di sopravvivenza,un capitalismo meno che molecolare,
spesso addirittura invisibile. Quattro milioni di partite Iva a vocazione individuale. Mezzo milione
di micro imprese sociali. Due milioni e mezzo di persone attive nel volontariato sempre più
organizzato in cooperative. Cinque milioni e mezzo di italiani con qualche lavoro in nero, del tutto
sommersi in attività che funzionano di fatto da ammortizzatori sociali.
Lo stesso Nordest é un cantiere di frontiera, dove capita anche che una cinquantina di piccole
imprese si mettano assieme per farsi forza e andare in Cina come se fossero tanti Benetton o
Telecom. Non che amino il mondo globale ma il pessimismo della volontà li spinge ad affrontarlo
con lo spirito degli emigranti del secondo dopoguerra. Un giorno, di ritorno da anni di Australia, un
amico mi disse:”Emigrare é stata la mia Sisal”. Cioè il sacrificio allo stato puro che diventa fortuna.
Non siamo cinici come sembra; semplicemente razionali, come dimostra anche la voglia di
modificare gli stili di vita della modernità a trazione anteriore.La nostra gerarchia dei valori rimette
in prima fila la salute, il mondo familiare, la tranquillità del lavoro, le tradizioni dimenticate, anche i
cibi tradizionali, i borghi storici, la cara vecchia provincia, la riscoperta di un passato coperto troppo
a lungo dalla distrazione/distruzione di massa. L’istituto Censis chiama questa Italia “altruista”, un
Paese di donne e di giovani che hanno poco o nulla da invidiare ai miti d’importazione.
Del resto l’Italia é sempre stata capace di storici balzi in avanti, come dimostrò un oramai classico
censimento dell’ autorevole studioso inglese Colin Clark. Tra il 1901 e il 1955 l’industria italiana
moltiplicò per sei la sua produzione e quella del 1955, dopo una guerra smembrante, era il doppio
della produzione del 1937, all’apice del fascismo.
Ciò in cui gli italiani confessano di non credere è lo Stato. Non c’entrano la bandiera, la Patria,
l’inno di Mameli, e nemmeno l’anti-Italia di Bossi. No, qui lo Stato é inteso come motore,
macchina, burocrazia, strumento aggiunto di competizione, servizio possibile all’efficienza: questo
manca, basta leggere le risposte date dagli italiani all’Eurispes.
Credono nel volontariato ( spontaneismo).Credono nelle istituzioni dei carabinieri e della polizia (
sicurezza). Credono nelle istituzioni religiose (interiorità). Credono nelle istituzioni europee
(garanzia).
Credono dunque nelle istituzioni, ma non in quelle della politica. Non credono infatti nei partiti
(ceto di potere). E otto italiani su dieci credono nel capo dello Stato ma soltanto quattro nello Stato,
perché Ciampi é sentito come persona più che come Quirinale, come tutore più che come carica.
Una decina di anni fa, in piena Tangentopoli, Ciampi andò a parlare da presidente del Consiglio
all’assemblea annuale di Confindustria. Disse tre cose contropelo: cari imprenditori avrete dei guai,
affronterete delle vergogne, però alla fine sentirete un senso di liberazione. E’ questo Ciampi che ,
venendo da lontano, incarna tuttora la residua affidabilità del sistema.
Gli italiani sono il vero miracolo, altroché. Riescono a far classificare la nostra economia ai
primissimi posti internazionali nonostante il cosiddetto sistema-Paese occupi posizioni di
retroguardia.
Alzi la mano chi ha in mente un popolo più resistente del nostro.