2004 novembre 1 Zola
1 novembre 2004 – Poveri calciatori
Poveri calciatori, poveri cari cocchi di mamma, pare che non ce la facciano più, si confessano stressati
, stracchi morti, con le ossa rotte, schiavi di 50/60 partite a stagione, curati in infermeria più che allenati
, campioni di un lavoro usurante quasi da minatori , sfruttati dai padroni dell’etere, inseguiti dalla
sponsorizzata tortura della notorietà, sovraeccitati a corrente alternata dagli alleluia o de profundis delle
pagelle sui giornali e dei processi in tv. Poveri, bisogna fare urgentemente qualcosa per strapparli a una
vita sempre più disperata anche se profumatamente ripagata.
Non sto scherzando, questo è il tema del giorno al cui confronto lo stress da fine del mese e il rincaro
del petrolio sono roba da ridere. Non un cane che si domandi perché i giocatori fanno qualche
straordinario .
Fino al 1988 il campionato era a 16 squadre, misura ideale soprattutto per la serie A degli anni
duemila, selettiva, organizzata e costosa, che mira prima allo spettacolo, poi al giro d’affari, per ultimo
allo sport. Ma il calcio italiano è specialista nel farsi del male, ragione per cui le 16 squadre sono
diventate le insulse 18 e , infine, le pletoriche 20 frutto di favori, compromessi, privilegi, disordine e
pressioni di ogni risma.
Avete voluto un megacampionato per tenere buona le piazze e le cause in tribunale? Tenetevelo. In
Inghilterra oltretutto si gioca perfino a Natale; in Italia vige l’eterna regola della botte piena e della
moglie ubriaca, cioè una pausa invernale di oltre due settimane accompagnata dal crescente grido di
dolore sullo stress da troppe partite tra campionato, coppe e nazionale.
Senza contare che non esistono più le “riserve” in panchina. Sono tutti titolari perché il parco-giocatori
delle squadre con maggiori impegni è infinito, interscambiabile, può far fronte anche a sette/otto
infortunati al colpo. Gli allenatori hanno semmai la seccatura di domare gli esclusi di turno. Se sono
troppi gli impegni, sono troppi anche i giocatori .
Dirigenti e calciatori dovrebbero una buona volta mettersi d’accordo con se stessi, anche a proposito di
televisione. I diritti tv sono schèi; la tv non trasmette più il calcio, invece lo guida, lo finanzia, ne
decide il calendario, l’orario, la cadenza e ne sostituisce il pubblico degli stadi. Con denaro fresco e
sull’unghia impone in pratica gli stessi ingaggi dei giocatori intrecciandoli, se ciò non bastasse, con
spot e immagine commerciabile.
Le cose stanno così, e i tanti che ne godono per contratto fino all’ultimo euro dovrebbero evitare di
esagerare con la faccenda dello stress. Non si parla di vittime, ma di protagonisti. Lo stress è un prezzo,
uno scambio consapevole: niente di drammatico, come si è visto anche ieri con un mare di gol e di
risultanti divertenti.
Al fuoriclasse Gianfranco Zola, il sardo della Barbagia reduce da sette campionati con il londinese
Chelsea, è stato chiesto che cosa distingua il nostro dal football inglese:” Da noi ci sono troppe
chiacchiere.” Non per nulla riceverà oggi il titolo di Sua Maestà la regina Elisabetta, raro per uno
straniero, quale “Membro dell’Impero britannico” per classe, educazione, comportamento sociale e
iniziative di beneficenza.
Fa piacere essere di esempio per gli inglesi, che hanno inventato il football e lo organizzano meglio di
chiunque. Dio salvi la regina, e noi.