1990 agosto 18 Quel cappio tra Bush e l’Onu…

1990 agosto 18 – Quel cappio tra Bush e l’Onu…

Avevamo rimosso la paura della guerra atomica; Usa e Urss avevano sepolto in
Vietnam e Afganistan l’invulnerabilità delle superpotenza. Ora il mondo cova una
guerra tradizionale e non sa più come fermarla: il mondo nuovo, della fine della
guerra fredda e delle ideologie imperiali, è impreparato ad affrontare le eredità del
mondo vecchio.
Sembrava questo il grande momento dell’Onu, impotente finché un blocco poneva
il veto all’altro e quando la pace poggiava sull’equilibrio del terrore nucleare. Ma
nemmeno l’unanimità dell’embargo economico contro l’Iraq riesce in queste ore a
realizzare, per conto di 160 paesi membri, l’utopia di un «governo mondiale» delle
crisi e delle soluzioni.
L’Onu non si dimostra all’altezza dei tempi. Ha fatto progressi, ma non risolutivi;
appare ancora lenta, sfumata nelle risoluzioni, povera di cultura dell’intervento. Del
resto non potrebbe essere altrimenti visto che l’Onu rappresenta soltanto la
proiezione di un mondo che si scopre ogni giorno più globale e che, insieme,
continua a rompersi fino alla guerra sugli interessi, sulle ambizioni, sui miti di
dominio.
E tuttavia sono queste le bandiere giuste, le sole che hanno futuro: quelle dell’Onu,
o dell’Europa dagli Urali all’Atlantico. Bandiere rivoluzionarie perché segnalano
un sogno, il diritto dei popoli, la risposta alla tentazione totalitaria.
Perciò appare inquietante, all’inizio di questi straordinari anni ’90, che gli Stati
Uniti scelgano – per restaurare la legalità internazionale – il forcing militare, una
sorta di rambismo psicologico, un eccesso di confidenza nel calcolo dei rischi.
Forse, scocca l’ora del pessimismo anche perché c’è troppa fretta nel trasformare
un progressivo strangolamento economico in un cruento cappio.
Tra inerzia e guerra esiste solo il deserto?