1990 luglio 24 Macché politica solo affari…
1990 luglio 24 – Macché politica, solo affari…
Venezia // Scomparsi programmi e uomini: dove sono finiti gli impegni?
Spesso sono le cose a cercare gli uomini più che gli uomini a dover cercare le
cose. Un eroe buono, fiero e idealista come Don Chisciotte sapeva che le opere
più grandi possono essere frutto delle circostanze: e che il compito degli uomini
si riduce in tal caso alla disponibilità.
Venezia sarebbe un luogo ideale per esercitare lo spirito di servizio. Soprattutto
in questo senso è un caso nazionale, anzi internazionale. A cominciare dai
politici, gli uomini di buona volontà qui eviterebbero anche la fatica: basterebbe
saper vedere, capire, scegliersi, prodigarsi. Il resto lo fanno le circostanze.
Dicono che al ceto politico del capoluogo del Veneto occorrerebbe molta
fantasia. É una scemenza. Più che altrove serve soltanto realismo, perché
Venezia le sue urgenze le ha da decenni elencate già tutte. Nulla da inventare,
tutto da realizzare. Ma con quel tipo di realismo che tiene in conto la gratuità:
l’esatto contrario dello «scandalo» di potere contro il quale una Chiesa sempre
più attiva nella trincea dei valori anche laici ha lanciato in queste ore la sua
scomunica morale.
Città abituata alla prima pagina del Times, sede di patriarchi-papi come Roncalli
o Luciani, affare di Stato con la Legge Speciale, polo turistico mondiale,
riferimento istituzionale di una Regione ricca e diffusa, Venezia ha sempre
aspirato anche a un ruolo di laboratorio politico, a volte al limite dell’eresia nei
riguardi del territorio veneto. Fu così per i dieci anni della giunta rossa di Rigo,
ma altre esperienze – pur fallendo nella stessa misura l’appuntamento con un
radicale salto di qualità nell’amministrazione – tentarono almeno di darsi un
progetto, uno slogan, un’ambizione.
Nonostante si assomigliassero come cane e gatto, il quadripartito di Laroni e la
rossoverde di Casellati una mezza idea di governo ce l’avevano. Si può
ironizzare finché si vuole sul «sindaco manager» ma un buon dinamismo va
riconosciuto al primo anno di Laroni. Quanto a Casellati, refrattario al
professionismo della politica, la sua elezione nasceva dalla proposta forte di
Visentini e da nuove istanze ambientaliste.
Oggi tutto appare molto più opaco e nulla lascia sperare che una risicata
coalizione possa produrre il miracolo dell’efficienza. Noi, poveri ingenui,
avevamo recentemente ipotizzato un «governissimo» in base alla sperticata
unanimità di intervento che tutti i partiti avevano manifestato dopo la bocciatura
dell’Expo. Se nessuno negava che «quaranta cose»* si dovevano fare subito e
bene; se, dopo polemiche anche da postribolo, tutti concordavano sulla
necessità di superare gli egoismi e almeno i più meschini interessi di parte, non
vedevamo come si potesse puntare invece ad una qualsiasi maggioranza, come
se nulla fosse accaduto.
Che fine ha fatto il gollismo manageriale del capolista democristiano Di Ciò? E
le cambiali pubbliche del ministro De Michelis? E l’idea di Venezia del filosofo
Cacciari, il più anti-comunista dei fu comunisti? E l’altro modo di fare politica
del deluso Rigo? E il successo elettorale dell’appello verde? E il comune
impegno ad affrontare lo scabrosissimo tema della separazione in atto tra la
regione e il suo capoluogo?
Bene o male, fu questo il nerbo delle elezioni amministrative che a Venezia si
intrecciarono con un sostanziale referendum sull’Expo. Ma di tutto ciò oggi non
si ritrova più la minima traccia. Di colpo sembrano scomparsi dalla circolazione
uomini e programmi, soprattutto la coscienza della grandezza e della gravità dei
problemi. Sotto i riflettori, sfilano in primo piano il partito degli assessori, gli
assessorati ricchi, la contabilità delle correnti, persino l’impudicizia di chi –
sfuggito in qualche modo a condanne penali per corruzione – replica in tono
sprezzante ai richiami ad un impegno più rigoroso a vantaggio della comunità.
Meglio tornare a votare che una giunta deceduta prima di cominciare.
(* vedi articolo del 25 gennaio 1990)