1990 luglio 29 Serietà e pretesti
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1990 luglio 29 – Serietà e pretesti
Recatosi in Germania per incontrare Bismarck, il Presidente del Consiglio
Francesco Crispi trovava il tempo di gareggiare con l’altrettanto dotto
cancelliere prussiano in citazioni di Omero, Demostene o Tito Livio, nei testi
originali greci e latini. A Mosca con Gorbaciov per una visita «non effimera»,
Giulio Andreotti ha dovuto fare molto alla svelta: a Roma lo aspettavano
Misasi, Mastella, Sanza, il fior fiore dei demitiani, impegnati in una grande
battaglia ideale, senza ombra di interessi né di corrente né di potere,
all’esclusivo servizio della «gente». Poco ci è mancato che si rifacessero
anch’essi a Tacito e Svetonio per proclamare che il nuovo Rubicone è lo spot.
Ancora una volta ha ragione Pannella quando, a questo ennesimo scandalo
partitocratico, oppone l’indifferenza più che l’indignazione. Andreotti ha
parlato di «vendita di
il ministro andreottiano Pomicino di
«regolamento di conti tra minoranza e maggioranza dc»; il ministro
repubblicano Mammi di «insopportabile travestimento di interessi economici e
politici in grandi questioni di principio». Se lo dicono loro, che sanno,
dobbiamo essere certi che così è.
L’informazione, la pubblicità, le concentrazioni, gli stessi spot sono questioni
delicatissime e molto importanti per una democrazia sostanziale. Dopo
quattordici anni di progetti e discussioni, era lecito quindi attendersi che l’intero
Parlamento convenisse su alcuni principi di fondo:
1) porre fine all’anarchia dalla quale ha tratto spudoratamente vantaggio
Berlusconi;
2) garantire quote equilibrate di mercato pubblicitario, oggi tutto sbilanciato a
favore del sistema televisivo e a svantaggio della carta stampata, altrettanto
essenziale al pluralismo;
3) ostacolare il più possibile le concentrazioni editoriali (meglio un polo in più
che uno in meno, perciò meglio la Mondadori a De Benedetti che a Berlusconi);
4) attutire con gli stessi autori pochi spot nei film;
5) tutelare con il massimo del rigore i programmi per i ragazzi;
6) favorire in ogni settore dell’informazione la professionalità dei giornalisti.
Di compromesso in dispetto, di corruzione in machiavellismo, usando
l’informazione come un piede di porco per scardinare l’altrui forziere, ne è
invece uscita una legge disordinata, figlia di una faida tra partiti e correnti oltre
che di lobbies miliardarie. La gente ha raccolto confusione, diffidenza, fastidio.
Ha capito benissimo che il tema era serio ma si è resa prestissimo conto che lo
avrebbero ridotto a pretesto.
L’unica cosa che ha fatto ottima impressione è stato il cambio di cinque ministri
con una comunicazione alla Camera di 40 secondi. Non s’era mai visto
congedare un po’ di assidua nomenclatura con tanta rapidità e senza ipocrisia.
Anche se non lo confesseranno mai, c’è da scommetterci: quei cinque sono già
amaramente pentiti. Andreotti non ha dato loro il tempo nemmeno di avvertire a
casa. E poi, soprattutto nella Dc, i vasi di compensazione funzionano in maniera
perfetta: nel Veneto ad esempio, per un Fracanzani a spasso c’è sempre un
Bernini che brinda.