1990 marzo 11 L’eroe

1990 marzo 11 – L’eroe

Il XX congresso del partito comunista dell’URSS fece storia nel 1856 condannando
per la prima volta i crimini di Stalin, ex «padre dei popoli». Nikita Kruscev sembrò
un illuminato riformista poiché denunciò «il culto della personalità» e ricordò che
l’inno comunista, L’Internazionale, canta: «Non v’han supremi protettori, né Dio,
né zar, né eroe alcuno. Pensiamo da noi, lavoratori, a conquistare il bene
comune».
Al congresso di Mosca portò il saluto al Pci Palmiro Togliatti. Trepidante e servile,
il «Migliore» immaginò i successi del comunismo e gli insuccessi del capitalismo
avventurandosi in una profezia: «Alcuni degli obbiettivi che vi proponete con il
vostro sesto piano quinquennale, come quelli della riduzione della giornata di
lavoro da 7 a 6 ore senza riduzione di salario e dell’aumento del 30% dei salari
reali – affermò Togliatti -, migliorano in modo radicale la situazione della classe
operaia, creano le condizioni per un ulteriore sviluppo della personalità dei
lavoratori, della loro coscienza di essere padroni del proprio destino, della loro
dignità. In Italia è stato invece messo assieme un piano che, con il pretesto della
lotta contro la disoccupazione, prevede il blocco dei salari per dieci anni».
il richiamo
Sia Kruscev che Togliatti conclusero
all’«invincibilità» del comunismo, ma i risultati finali sono noti a tutti: più dello
stesso muro di Berlino, nel Pcus come a Est o nel Pci oggi è crollato il sogno di una
storia in ostaggio dell’ideologia e di una economia subalterna al partito. La prassi
ha messo in ginocchio sia il sistema che l’idea, o la «cosa».
Nel 1956 Mikhail Sergheievich Gorbaciov studiava legge all’università di Mosca.
Quando, esattamente cinque anni fa, diventò segretario generale del Pcus, con lui si
frantumarono anche le generazioni del comunismo: a soli 54 anni Gorbaciov prese
il potere contro i sogni, i miti, le invincibili utopie. Con la perestrojka svelò che
non c’era nulla da salvare; con la glasnost che bisognava uccidere la propaganda;
con la «casa comune» che soltanto l’Europa era il luogo della possibile catarsi.
Cinque anni dopo, Gorbaciov si sente talmente solo da non poter che aumentare la
solitudine, con il massimo del potere nelle sue sole mani. Nessuno poteva
immaginare che il sistema fosse così in crisi da esigere un nuovo «culto della
personalità»: non uno zar stalinista, ma un «eroe». Perciò grande e, insieme, fragile.

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