Giorgio Sbrissa – Quell’anarchico che sognava un’Italia miglior, La tribuna di Treviso (2006)
Quell’anarchico che sognava un’Italia migliore
Un anno è andato via, lungo come un secolo ma passato in un nanosecondo. L’assenza di Giorgio Lago, cominciata 13 marzo 2005, per chi gli era amico è rimasta inconsolata e chi gli era prossimo come lettore non ha ancora trovato riferimenti altrettanto sicuri a cui rivolgersi. Giorgio ha lasciato molti vuoti. Vuoti politici, vuoti giornalistici, vuoti personali. C’è chi, per restare sul personale, in piazza a Castelfranco, non ci va quasi più, tanto sa che non potrà incrociarlo, in libreria da Massaro, sotto i portici o al mercato, in sella o con la bicicletta a mano, apparentemente trafelato, ma pronto a fermarsi, anche a discutere per ore, quando l’argomento valeva. E anche quando non valeva la pena, da uomo d’altri tempi, sapeva trovare una battuta, una chiacchierata, un ammiccamento, una battuta, un cenno, un saluto, una gentilezza. Nel suo essere sempre disponibile al confronto, anche il più ostico, era a modo suo un guru, specie tra quanti, autentici liberal, magari più anziani di lui, si sentivano defraudati da una destra «cialtrona e stracciona» che impediva loro ormai anche di essere liberali come volevano continuare ad essere e gli chiedevano il modo per farlo senza sentirsi dare dei «comunisti». Adesso, in piazza, ha meno senso andarci.
Ci fosse almeno una Prospettiva Giorgio Lago, una targa, una panchina, una mattonella dove sostare nella riflessione. Ma pare che la città di Giorgione non ci abbia ancora pensato. Come Venezia, peraltro. Forse nell’imminenza della ricorrenza muoverà qualche carta, farà qualche proposta, butterà qualche mezza idea. In realtà la sua città, tolti gli amici sinceri, e per fortuna sono ancora molti, fatica a inserire Giorgio Lago nella dimensione che gli compete. Non capisce di aver avuto di fronte un gigante del suo tempo. Un uomo che nel suo campo può essere accostato solo a Menego Sartor. Per trovare altri alla loro altezza, a Castelfranco, bisogna andare indietro nei secoli. Ma gli unici a non accorgersene, purtroppo, sono gli amministratori castellani, superati in questo perfino da Jesolo che gli ha almeno intitolato un premio giornalistico. E non è che la Provincia di Treviso e la Regione Veneto ci facciano una figura molto migliore, ma almeno loro hanno l’attenuante (ridicola, peraltro) di vedere in Giorgio Lago un fiero avversario, anche nella memoria. Non tutti dalla sua parte hanno l’intelligenza politica e la stima per l’uomo, oltre al vanto dell’amicizia, di un Bepi Croce.
Interpretare le intenzioni di chi non c’è più è arbitrario, antipatico e ingiusto, ovvio, ma difficilmente in un clima ostile come quello che viviamo in questi mesi si riesce a trovare un postoper i galantuomini, i quali per amore di se stessi e della propria correttezza hanno sempre sentito il bisogno di dire quello che pensano. Ecco un altro vuoto lasciato da chi avrebbe sicuramente apprezzato l’endorsement di Mieli. Viene da pensar che in una campagna elettorale lunga un anno, una campagna di uomini-contro, lui che avrebbe sicuramente rifiutato una naturale candidatura avrebbe ugualmente con determinazione solcato la burrasca per chiudere un capitolo della storia repubblicana che giudicava una jattura. Questo ritorno al proporzionale, la spallata dei partiti sulla scelta dei parlamentari e le ultime leggi ad personam, così come le riforme della giustizia a uso del principe, lo avrebbero fatto uscire dai gangheri come null’altro mai (per l’ennesima volta, ad essere sinceri). E vi si sarebbe scagliato contro con tutta la foga, l’acume e l’arguzia di cui era maestro, senza farsi travolgere dall’ira, e che purtroppo tra tanti sedicenti discepoli che battono tasti per guadagnarsi il pane non ha ancora trovato eredi, eccezion fatta per Gianantonio Stella, probabilmente. Sapendo di non trovare nulla di suo anche i giornali si aprono meno volentieri, un anno dopo.
di Giorgio Sbrissa