Ulderico Bernardi – Quel ragazzo controcorrente che parlava di sport e di politica sul treno per Treviso, Gazzettino (2015)

Quel ragazzo controcorrente che parlava di sport e di politica sul treno per Treviso

Eravamo tanti su quel treno pendolare. Una vaporiera che alle sette del mattino ci portava oltrepiave, verso le scuole superiori del capoluogo. A quel tempo, primi anni Cinquanta, non c’erano licei e istituti tecnici statali neanche nei grossi centri della provincia. Bisognava andare a Treviso. C’era chi si faceva più di cinquanta chilometri all’andata e altrettanti al ritorno. Ore lente ma anche tanta cagnara studentesca. Dentro alle carrozze coi sedili di legno, avvolti nel fumo: Della locomotiva e delle sigarette. Alfa degli operai, nazionali semplici, giubek, macedonia. Giorgio saliva a Motta di Livenza, io a Oderzo. Un gruppetto veniva da Portogruaro. Qualche volta dovevamo scendere dal treno a Ponte di Piave perché il fiume in piena aveva coperto le rotaie sulla passerella. Il ponte ferroviarie, demolito dalle bombe nei non lontani anni di guerra, non era ancora stato ricostruito. Così ci facevamo a piedi il percorso fino a Fagaré della Battaglia, in riva destra, dove un altro convoglio ci aspettava. Non ci pareva vero di arrivare tardi a scuola. Giustificati. Quand’era autunno e tutti i finestrini erano aperti, bastava allungare una mano per cogliere i grappoli d’uva matura dalle viti che fiancheggiavano la tratta. Una delizia per la fame dell’età e di quelle ore di primo pomeriggio. Giorgio parlava sempre di sport. Ma anche di politica, Un ragazzo controcorrente, dinoccolato come un dandy inglese, che aveva scelto di essere liberale, quando tutti gli altri erano per lo più comunisti, socialdemocratici, democristiani, missini. Col suo sorrisino e la dialettica faceva fronte agli attacchi. E veniva rispettato, perché in fatto di logica era un carro armato. E poi sapeva tutto delle squadre di calcio, di pallacanestro, di nuoto, di corse ciclistiche. Poi ognuno prese la sua strada. Ci ritrovammo tanti anni dopo, quando ormai littorine e treni a vapore erano un ricordo, anche sui rami secondari. Io tornato da un’università lombarda ero ormai insediato a Ca Foscari, e lui dirigeva il più importante giornale delle nostre regioni. Quando Veneto e Friuli erano già evoluti a Nordest. Un giorno gli proposi un pezzo. Era successo che avevo comperato un pezzo di terra in riva sinistra della Piave, dove misi a dimora una piccola vigna per il Raboso di casa. Conoscevo la rabbia dei vicini contadini. Gente che sgobbava giorno e notte e vedeva i suoi prodotti pagati con niente. Mentre in bottega il consumatore li pagava dieci volte tanto. Così, un chilo d’uva veniva comprato a 300 lire e un’ombretta in osteria costava 200 lire. Per non dire della differenza tra prezzo pagato per il frumento e quello sborsato per il pane. Un tempo il contadino per un quintale di grano riceveva dal fornaio un quintale di pane. Giorgio lo mise in prima pagina, in alto di spalla, su tre colonne, e titolò: Lo scandalo Merlot! Erano cose come questa che gli conquistavano sempre nuovi lettori. Quelli che poteva dire di conoscere da sempre, radicato com’era nella sua appartenenza. Ne avvertiva a pelle i turbamenti e le umiliazioni, ma anche il coraggio con cui avevano saputo trasformare una terra di emigranti in una regione industriale. Con tutti i problemi che una trasformazione di questo genere si era tirata dietro. Nel paesaggio e nelle famiglie. Ora però di scuole, superiori e primarie ce n’erano in ogni borgo, ed era tempo di nutrire d’informazioni adeguate quanti erano cresciuti in benessere provenendo dalla povera cultura contadina. Il giornalista, come lo pensava lui, doveva aiutarli ad avere consapevolezza della loro storia, perché la dignità offesa dei padri si affrancasse una volta per tutte dalla subalternità. E le scelte fossero libere. Cosa che fece finché gli fu permesso. Se n’è andato quando c’era più bisogno di lui, ma ricordiamo bene la sua limpida lezione.

di Ulderico Bernardi