Massimo Cacciari – Coscienza del Nordest

Giorgio Lago, coscienza del Nordest: così lo ricorda Massimo Cacciari

Sembra ieri, ma è già passato un anno. Si comincia così quando ci si ritrova per ricordare una persona cara che non c’è più. E sono le parole più scontate, più normali e naturali che ti vengono alla mente quando la colleghi al cuore. Sembra ieri, una domenica mattina giusto un anno fa, sono in macchina e squilla il cellulare: “Ciao, guarda che Giorgio questa notte…” Mi accosto al ciglio della strada, spengo il motore, mani sul volante, occhi velati, ripasso a memoria una preghiera. Ripercorro quindici anni di una grande amicizia cominciata nel 1991. Allora ero consigliere comunale a Motta di Livenza eletto nelle liste della Liga Veneta. Giorgio Lago fu invitato dal Sindaco per ritirare un premio. Chiesi a Lago quale fosse la sua opinione sulla Liga Veneta, che, a quei tempi non godeva certo di buona stampa, né di grande considerazione politica. La risposta di Lago stupì tutti: “Se la Liga Veneta riuscirà a far pulizia, funzionerà come una lavatrice per candeggiare il sistema politico, lercio e corrotto, benvenga. Se poi riuscirà ad imporre un sistema federalista di cui il Veneto e l’Italia hanno tanto bisogno, tanto meglio”. Mi emozionai perché erano le prime buone e autorevoli parole che sentivo sulla Liga Veneta. Mi alzai per stringere la mano a Giorgio Lago. Non lo dimenticherò mai. L’emozione maggiore veniva dal fatto che Lago coglieva l’essenza del “fenomeno Liga”, libero com’era da impegni e pregiudizi politici. E poi a Lago interessava che dentro e oltre il partito politico ci fosse anche la questione dell’identità veneta. Aspetto questo sino ad ora sottovalutato e al massimo trattato a livello di robuste tradizioni popolari per dar colore alle sagre e alle feste in piazza. Per noi della Lega della giustizia Veneta invece, l’identità era molto di più. Era questione di radici ben piantate sulla terra sulla quale cresce o muore un popolo con la sua storia. Se le radici sono forti e ben piantate salvano l’albero dai temporali estivi e dalle gelate invernali. Noi, ma anche Lago, sentimmo già allora che ci sarebbe stata “la verta” (così i contadini definiscono la primavera), cioè l’apertura stagionale dopo l’inverno. E l’inverno, per parte dell’Europa, era iniziato nel 1917 e finito nel 1989 sotto le macerie di un muro a Berlino. Sarebbe stata una “verta” con grandi novità e sconvolgimenti politici, sociali ed economici. Prima la delocalizzazione e poi la globalizzazione, che avrebbero interessato il veneto e non solo. Ecco allora che Giorgio Lago si inventa il Nord-Est ridefinendo e allargando un’entità geo-politica-economica uniforme, cambiando nome a quello che sino ad allora veniva identificato come Triveneto. Capisce che uno sviluppo economico, nuovo ed imponente, è alle porte per tutta l’area, e questo può funzionare da collante per giuste e necessarie rivendicazioni federaliste. Capisce, tra i primi che le ali di questo sviluppo imminente sono tarpate e appesantite da uno stato centralista pesante, troppo lontano, distratto e costosissimo. Impugna la bandiera federalista, lo fa a modo suo, lo fa bene, con l’acume e la conoscenza profonda che ha. Usa il giornale per attaccare i critici saccenti e irriverenti (Santoro, Lerner ed altri megafoni stonati), ma anche per difendere, diffondere le virtù del popolo delle partite iva, dei nuovi imprenditori, dei distretti industriali, dei lavoratori più geniali del mondo. Lui che conosciuto il Triveneto della miseria e dell’emigrazione, lui che da corrispondente in giro per il mondo ha visto i Veneti all’opera nei cinque continenti, ora coglie perfettamente il momento tanto atteso del riscatto. Lo difende e lo protegge come un bene prezioso, come una grande conquista contro le invidie dei tanti che preferivano gli stereotipi delle servette venete, dei carabinieri delle barzellette, dei polentoni un po’ sciocchi. Giorgio Lago non è mai stato leghista. Ma era uno dei pochi capaci di capire le nostre istanze perché anche lui partiva da un forte senso di identità veneta. Sentimento che non ha mai nascosto, anzi, traduceva nel suo lavoro, nel dialogo quotidiano con i lettori, nel rapporto preferenziale con i Sindaci, che amministravano il territorio dentro com’erano nei problemi della gente. Da un anno ci manca e Dio solo sa quanto. Ci manca un riferimento preciso, un consigliere eccezionale, un ottimista d’oltranza che fino all’ultimo ha difeso la sua creatura, il suo Nord-Est. Nelle nostre ultime lunghe chiacchierate al telefono, io ero scoraggiato, parlavo della fine di un’epopea, di globalizzazione pericolosa, di invasione cinese incontrollata e ingiusta, di danni irreversibili ecc. e lui, con voce sempre più stanca e flebile, ma sempre scherzosa nonostante il male: “Bepi, no te capissi niente, no te conossi i Veneti come mi, no te si un Raza Piave come mi Crèdeme, avemo ancora tante risorse, un potenziale enorme. “E aveva ancora una volta ragione, perché oggi, ad un anno dalla dipartita mi accorgo che la sua paura sta lasciando posta ad un nuovo timido ottimismo. Stiamo prendendo la misura per affrontare gli enormi problemi, e il mondo continua a girare, come sempre. Probabilmente il futuro ci riserverà di sgobbare un po’ meno a Nord-Est, saranno contenti i nostri detrattori, però potremo recuperare in qualità di vita. Da un anno non abbiamo un punto di riferimento, è indubbio che Giorgio Lago ci manca, che sentiamo la sua assenza. Però ci restano i suoi insegnamenti.

di Massimo Cacciari