Massimo Cacciari – Serie di interviste a protagonisti del Nordest

Ho conosciuto Giorgio Lago quando assunse la direzione del Gazzettino. Il giornale “storico” veneziano era noto per il suo moderatismo un pò filisteo, per l’ossequio ai partiti (meglio, al partito) di governo e per un tono complessivo provincialmente dimesso. Rimasi così davvero stupefatto quando il suo nuovo direttore mi chiamò per chiedermi una lunga intervista, mi sembra di ricordare sulla crisi del marxismo e sulle valenze politico-organizzative di tale crisi nell’ambito dei movimenti comunisti. Discutemmo a tutto campo per un’intera mattinata. Da allora quante altre volte venne a parlare da me e durante i nostri incontri le parti si scambiavano ed ero io a intervistarlo! Lo conoscevo in precedenza come un “semplice” giornalista sportivo e scoprivo in lui vastissime letture non solo nel campo degli studi politici e sociali, ma in quello storico e filosofico. La sua curiosità, la sua volontà di ricercare ed approfondire ogni argomento era inesausta. Mai si accontentava della prima risposta; semmai la sua intelligenza si rivolgeva al paradosso. Detestava ogni tranquilla certezza, almeno quanto la difesa burocratica e corporativa delle posizioni raggiunte, dei poteri già conseguiti. Quieta movere: così potrebbe suonare il suo motto. Giorgio Lago era per questo un liberale autentico: liberare dal dogma, dalle posizioni di rendita, da ogni forma di monopolio, attraverso le “armi” della critica e della ironia, fondate sulla conoscenza e sulla analisi dei fatti. Realismo e volontà di cambiamento, di esperimento, di “avventura” anche: queste sue dimensioni si combinavano in quella serena inquietudine che a me pare caratterizzasse lo spirito di Giorgio Lago. Il liberalismo di Giorgio Lago non aveva, dunque, nulla di quel conservatorismo proprio di certe tradizioni europee. Somigliava di più alle tendenze “anarchiche”, anti-statalistiche di importanti settori della cultura anglosassone ed in particolare statunitense. E questo aspetto della sua cultura emerse con chiarezza, dovrei dire esplose, all’inizio degli anni ’90. Credo si possa dire che nessun giornalista visse quella “catastrofe” con maggiore intelligenza delle novità, con maggiore passione, con maggiore sforzo nel tentativo di costituire una “nuova Italia” su quelle macerie. Giorgio non si attardò mai alla semplice denuncia, non indusse mai a facili moralismi, non si limitò mai a fare l’elenco dei cocci, sport nazionale e noiosamente facilissimo. Egli cercò appassionatamente di cogliere le potenzialità di riforma, i nuovi soggetti culturali che emergevano, le opportunità di coordinarli in un’autentica nuova forma politica. Il perno di questa ricerca aveva per Giorgio un nome: federalismo. Significava costruire un nuovo ceto politico e dirigere a partire dalla domanda di autonomia e auto-governo delle “comunità originarie”, dall’affermarsi di una economia “a rete”, fondata sulla vitalità della piccola e media industria più innovativa ed organizzata per distretti. Giorgio compì ogni sforzo per mettere in relazione, a partire dalle pagine del suo giornale, i nuovi esponenti delle realtà politiche e amministrative locali con il nuovo “capitalismo personale” dei distretti. Giorgio aveva perfettamente presente questo limite, ma all’interno della “ondata” federalista che ha scosso questo Paese fino, grosso modo, al’ 96 – ’97, pochi, se non pochissimi andavano oltre a ottiche parziali. Anche tra i sindaci, che pure erano stati i soggetti fondamentali di quell’ondata”, e che Giorgio Lago appoggiava con convinzione, i più badavano soltanto a rafforzare la propria posizione. Giorgio Lago sapeva che una riforma federalista, e quindi una nuova Costituzione italiana, non sarebbero mai nate da una semplice ridistribuzione dei poteri dati, sottraendo competenze e poteri ad uno per darne ad un altro. Federalismo non poteva ridursi ad un gioco a somma zero. Soltanto concependolo come un processo di arricchimento dei poteri di ciascuna dimensione istituzionale, poteri originari e non derivati, esso si sarebbe potuto affermare. Altrimenti avrebbero vinto le resistenze centralistiche, le inerzie o le chiacchiere demagogiche. E così puntualmente è stato. Ma non è questo il momento né il luogo per fare la storia di quegli anni. La puntualmente è stato. Ma non è questo il momento né il luogo per fare la storia di quegli anni. La storia non della nascita, ma dell’aborto della seconda Repubblica. La situazione dei primi anni 90, e le occasioni che essa offriva, non si ripeteranno più. Per non indulgere a facili pessimismi occorrerebbe davvero avere ancora qui con noi Giorgio Lago, la sua capacità di cogliere ictu oculi le trasformazioni sociali e i soggetti potenzialmente in grado di dare ad esse esiti costituenti. Si è chiuso un ciclo politico e insieme un ciclo economico, e questo è particolarmente avvertibile proprio qui nell’ex mitico Nordest; nei suoi ultimi articoli era questo il tema centrale affrontato da Giorgio. Ma per vedere oltre, per intuire ciò che può “avanzare”, e che certamente “avanzerà”, alla crisi, ci mancheranno il suo realismo, il suo disincanto, la sua intelligenza critica, il suo rigoremorale, la sua passione civile.

di Massimo Cacciari