1998 giugno 2 Pietro Marzotto

1998 giugno 2 – Pietro Marzotto: Non sono vecchio né cotto per era ora di rinnovare
Valdagno.

Ne vogliamo parlare?, chiedo a Pietro Marzotto. «Io no, ma se c’è qualche domanda…». Anche più
d’una, un’intervista da cento righe… «Eh la madonna, cento righe!». Ma è una giornata molto
particolare, questa. «Una giornata serena come sempre», si fa serio il conte di Valdagno, il presidente,
un cognome che pesa quanto cinque generazioni d’impresa, un nome che gli fu dato dal padre Gaetano
in omaggio a Badoglio, maresciallo d’Italia». Una giornata «serena» perché, in fondo, hanno vinto
«figli e nipotini»… «Nell’ultimo anno, ho ridotto troppo poco il mio tempo di lavoro a favore del tempo
libero…». Naturalmente c’è dell’altro. «A patto che si sdrammatizzi qualcosa che è fisiologico. È vero
che io a sessantun’anni non sono vecchio, ma è anche vero che sono tantissimi anni che sono qua.
Credo perciò che un ricambio anche formale dia nuovo impulso all’azienda: non è che Jean de Jaegher
[il vicepresidente, ora designato presidente da Pietro Marzotto, n.d.r.] sia un ragazzino, perché ha la
mia età, per ha un vissuto diverso e, soprattutto, potrà avere un’immagine diversa anche al di fuori
dell’azienda. E Silvano Storer [il consigliere delegato, n.d.r.], che è il capo delle operazioni, quello che
poi deve anche proporre le strategie, è da due anni in azienda e quindi rappresenta una linfa nuova,
come molti altri uomini entrati da noi negli ultimi anni». Lei ha sempre sostenuto che l’azienda non è
una «monarchia» ereditaria. «Questa è un’azienda che da un lato ha una grande tradizione e dall’altro
ha cercato, sempre ma negli ultimi anni in particolare modo, di migliorare il patrimonio di risorse
umane. Un patrimonio non contabilizzato, non iscritto ad attivo di bilancio, ma decisivo».
Gli studiosi le attribuiscono una particolare propensione a costruire il team di manager. «Io mi sono
stufato di sentir dire che la Marzotto era un’azienda familiare, molto Marzotto, molto connessa con la
mia presenza… Ciò si può anche capire, visto che ci sono stato tanti anni, ma credo che sia
nell’interesse degli azionisti, tra i quali io sono il maggiore, e di tutti gli stakeholders, come si usa dire,
della società, che la Marzotto avesse una forte trasparenza delle risorse umane di cui gode.
A cominciare dai due vertici, de Jaegher e Storer». Lei ha portato all’ultimo stadio la distinzione tra
«valori dell’impresa» e «valori della famiglia». Ne scrisse dieci anni fa. «Lo dico da tantissimi anni.
Negli Stati Uniti, erano gli anni ottanta, fu condotta una ricerca che dimostra come una impresa
familiare non passa i venticinque anni, mediamente. I valori dell’impresa sono il merito, il successo, lo
sviluppo, quelli della famiglia la solidarietà, la tradizione, qualche volta anche la conservazione, ecco.
Valori diversi, non in conflitto, e lo dico non perché la Marzotto è una società quotata». Vuol dire che
la distinzione vale comunque? «Nello stesso Nordest delle piccole imprese, sarebbe auspicabile che gli
imprenditori che le hanno portate al successo sapessero che non necessariamente i figli, i congiunti o
quello che è, possono fare ciò che hanno fatto loro».
Eppure, può sembrare una bandiera ammainata Pietro Marzotto che se ne va… «Io non me ne vado!».
Ma lei è una bandiera, almeno da sedici anni. «Intanto sono qui, a tempo pieno, da trentadue anni, da
più di quaranta se consideriamo tutto. Ma io non me ne vado assolutamente, io rimango consigliere
d’amministrazione, membro del comitato esecutivo, e soprattutto sono l’azionista che ha più del

quindici per cento di azioni, azionista di riferimento. A de Jaegher e Storer, come da loro richiesto, dare
la mia opinione, una disponibilità totale che non sarà certo invadente. Io non fare la buona opera di chi
costringe la vecchina ad attraversare la strada: no, li assisterò ogni volta che me lo chiederanno. Non mi
intrometterei . Insomma, ripeto, sentivo il bisogno di mettere in evidenza che la Marzotto è
assolutamente indipendente da Pietro Marzotto».
Un anno fa, quando fallì l’operazione con la Hpi, sembr emergere la complessità dell’azionariato della
famiglia. Esiste relazione con la sua decisione di lasciare la presidenza? «Un anno fa, quando noi
avevamo previsto una fusione con Hpi, la cui presidenza avrei assunto io, naturalmente era previsto
anche di scorporare tutte le attività tessili-abbigliamento della Marzotto, con de Jaegher presidente. A
riprova che già un anno fa io ero dell’opinione che de Jaegher avrebbe potuto pilotare come presidente
le attività tradizionali della Marzotto, assieme a Storer. In quel caso, io non avrei lasciato la presidenza
della Marzotto, per la semplice ragione che sarebbe stata una Marzotto completamente diversa, che
aveva la Fila, la Rizzoli Corsera… Era per così dire un altro oggetto».
Lei non lascia oggi per dedicarsi ad altro… «No, non lascio la presidenza per fare politica, né per
assumere altri incarichi né perché sono cotto, bollito o stanco, né perché ho posizioni esterne. Anzi, da
parte del management come del consiglio di amministrazione ho avuto forti manifestazioni di affetto e
di stima oltre che di contrarietà alla mia decisione: beninteso, non di contrarietà a de Jaegher e Storer».
Hpi dunque non c’entra. «Inutile star lì a dire se mia nonna avesse le ruote sarebbe un tranvai! Quella
vicenda non si è verificata, tuttavia aveva messo in moto delle riflessioni tra di noi, che già l’anno
scorso hanno modificato i contenuti del mio ruolo, in termini sostanziali, con una delega molto più
ampia. Dopo dodici mesi di felicissima sperimentazione, eccoci qua». Forse la famiglia dei cinquanta e
passa Marzotto di quinta e sesta generazione, avrebbe preferito ancora lei alla presidenza. «Sì, ma chi
sta sulla breccia deve guidare i processi di innovazione, di cambiamento. Io ero pagato per pensare
molto di più di quanto non fossero pagati per pensare i miei consiglieri d’amministrazione o, per nulla
pagati, i miei azionisti. Se uno non è stupido, matura certe scelte più rapidamente di chi non è pagato
per pensarle». Scelta tenuta segretissima. «Siamo sempre riservati, noi. È una nostra caratteristica».
Una scelta che viene da lontano. «La maturavo da tantissimo tempo, più di dodici mesi, anche se degli
incidenti di percorso mi hanno impedito di attuarla».
Di Gaetano Marzotto, ha scritto il professor Giorgio Roverato: «La storia e le fortune di un’azienda non
sono mai scindibili dal carattere e dalla personalità dell’imprenditore».
Tale padre, tale figlio.
2 giugno 1998