1999 Febbraio 28 Se Veneto e Sicilia si parlassero
1999 Febbraio 28 – Se Veneto e Sicilia si parlassero
Non ci crederete ma in Sicilia si parla sempre più spesso di federalismo, e si guarda proprio al
Veneto come a un esemplare Etna riformista. E’un tornare a Don Sturzo di Caltagirone, che si
autodefiniva “federalista impenitente”, e ai grandi meridionalisti come Salvemini di Molfetta e
Dorso di Avellino, Salvemini invitava già cento anni fa a trasformare “l’unità in federazione” e
spiegava che, tolte le spese davvero generali dello Stato, “ciascuno si terrà i suoi quattrini e li
spenderà sul luogo come meglio crederà”. Pensieri da gazebo padano, si direbbe; il fatto è che
nemmeno il nord ha il monopolio dell’istanza federalista.
Se ne è discusso a Troina, in provincia di Enna, tra mandorli in fiore, pascoli e greggi, sotto una
torre normanna che tiene l’intero paese con sé, a più di mille metri, sopra le vallate. Quanto è bella
la Sicilia. Invitato dal senatore D’Onofrio, relatore per il federalismo nella defunta Bicamerale,
Comencini ha sintetizzato il motto della sua Liga post-Bossi: “Tutto ciò che è utile al Veneto è utile
al mio partito”. Lo hanno applaudito. Eh sì, di qualche luogo comune bisognerebbe liberarsi; per
voglia di autonomia, i siciliani hanno poco o nulla da imparare. Ho ascoltato persino un reduce
dall’”Elvis” (Esercito Volontario per l’Indipendenza Siciliana, 1947) ricordare i tempi in cui
sognava “di federarsi con l’Inghilterra o con gli Stati Uniti” sganciandosi per sempre dall’Italia. Al
confronto, Pontida è un circolo del golf celtico. Mescolando incredibilmente federalismo con
bandito Giuliano, sappiamo tutti come andò poi a finire, ma lo ricordano benissimo soprattutto loro,
i siciliani che oggi discutono soltanto di Europa, di Mediterraneo, di ponte sullo Stretto, di
autonomia “tradita”, di fine dell’assistenzialismo romano e di Stato da smontare, con lo stessissimo
realismo del Nordest. Altro che Gattopardo a fatalismo mafioso. In fondo, discutono di ponte di
Messina da 30 anni, come il Veneto di Pedemontana o Venezia di salvaguardi dalle acque alte,
facendo notare che l’iter politico per avviare il tunnel sotto la manica fu il seguente: una telefonata
tra Mitterrand e la Tatcher, un loro incontro di lì a un mese, il via libera dopo sei mesi. S’incazzano
come jene se qualcuno considera il loro ponte un’opera siculo-calabra e non il gancio tra Europa e
Mediterraneo, una delle tre grandi direttrici verso un “mercato di duecento milioni di persone”.
Dargli torto?
Sud/Nord non sono mai stati così vicini nell’approccio ai problemi. Ho sentito dire, ad esempio: va
benissimo il passante di Mestre, va bene la nuova linea del Brennero con relativo traforo da 25 mila
miliardi di spesa complessiva, ma deve andare altrettanto bene il ponte sullo Stretto con 8-10 mila
miliardi tutti coperti da privati, senza oramai una lira a carico dello Stato. Sentita a Troina, fa un
certo effetto, o no? Oltretutto, non si vive di solo “Mose” e di sola Venezia. Dopo aver speso 138
miliardi in modellini, la particolarissima tecnologia del ponte presunto, a forma alare e a cassoni
multipli, ha già da tempo fatto il giro del mondo come “modello Messina”. I danesi, che devono
collegarsi alla Svezia, sono stati consigliati proprio dagli americani del Mit (Massachussetts
Institute of Technology) di rivolgersi per consulenza a quelli dello stretto, considerati il top su ponti
da due chilometri e passa. Il ponte, pur soltanto sulla carta, fa scuola teorica dopo aver retto in
laboratorio a test e calcoli matematici di venti, mareggiate e persino esplosioni nucleari simulate a
500 metri di distanza. Nemmeno la Mitsubishi, abituata al Giappone tellurico, avrebbe finora fatto
di più. Trovo molto istruttiva questa storia del ponte, visto alla “nordestina”, come infrastruttura che
funzione da volano. Il bello è che, tra Sicilia e statuto specialissimo ma svuotato e Veneto a statuto
ordinariamente vuoto, l’autonomia cancella le differenze. Tramontato il secessionismo, non fa più
paura il federalismo? Penso sia questo. Ha scritto Sergio Romano che D’Alema fa il federalista per
ruffianarsi politicamente Bossi, e che ciò non è elegante. Dissento totalmente: se la politica è
stracciona, del federalismo mi basterebbero anche gli stracci. Sempre meglio dell’eleganza dei
conservatori. Basta.