1999 Febbraio Lettere firmate

1999 Febbraio Lettere firmate

Confesso di capirci poco visto che a me pare così normale manifestare un’opinione politica o di
altro genere. Strano perché. Dallo sgarbismo in poi la libertà di parola è oltremodo diventata libertà
di di qualunque parola. Vittorio Sgarbi ha spostato di molto il limite: può non piacere, ma è così.

L’ultimissimo prodotto dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana – il “Conciso”- introduce e definisce
il termine Nordest come “area dell’Italia considerata globalmente come espressione di fermenti
autonomistici”. Ecco, trovo contraddittorio che tanto “fermento” conviva con tante” lettere firmate”.
Anche queste, forse, piccoli infinitesimali sintomi di astensione, di ritorno nel privato: una voglia,
ma incompiuta, di dire la propria. Non l’anonimato, e però una reticenza a mostrarsi che segnala un
disagio.

La ricerca del prof. Ilvo Diamanti, sul campione di Vicenza, mostra oggi un Veneto in apparenza
molto diverso da quello di un paio di anni fa. Prima protestava, poi proponeva, ora se ne frega:
quasi tutti i titoli di giornali ne hanno tratto la conclusione che il Veneto ha raggiunto la pace dei
sensi, ieri incavolato, oggi euforico. Messa giù così, a me pare una baggianata, non è quel che la
ricerca mostra in controluce. Il Veneto non è cambiato, anzi crede nello Stato ancora meno di ieri
mentre, in compenso, riserva maggiore fiducia alla Chiesa. Quasi un Risorgimento alla rovescia! La
fuga nell’Euro somiglia a una secessione morbida dallo Stato che in queste ore spedisce milioni di
contestazioni sul bollo auto a milioni di cittadini pur ammettendo che ben il 10% d’esse è sbagliato
in partenza…

E’ stato proprio questo il tema numero uno del dialogo con i lettori che scrivevano a “Passaggio a
Nordest”. Il grande tema di un Paese che il Rapporto Ispes paragona a un gigante vitalissimo ma
paralizzato dagli innumerevoli nani della burocrazia: lo stato nano è di ostacolo al lavoro,
all’impresa, alla famiglia, alla scuola.

Ho sul tavolo la lettera di Luisa M. Chiaretto di Padova. Mi scrive: “ Se la scuola non funzione, la
colpa non è della famiglia ma, qui ha ragione lei, se la famiglia non segue i figli, la colpa non è
della scuola.”. Di questo si occupano e preoccupano i cittadini: come domare le spinte centrifughe
di una società complessa, affidata ad una macchina primitiva quale la nostra pubblica
amministrazione. Dai 30 mesi di corrispondenza, ho tratto una lezione: una piccola politica non può
fare grandi riforme. Qui sta la delusione.

Mi domanda Paolo Manetti di Treviso: “Come pensa che questo regime burocratico e mediorentale
faccia calare il federalismo come manna dal cielo?”. L’interrogativo è più che fondato, anche se
l’unico pericolo che non corriamo è proprio quello del “regime”: qualunque regime poggia su punti
di forza, su un ceto determinato, su interessi forti. Non è il nostro caso: la nostra politica vive
piuttosto una fase tardofeudale che, nel teatrino, frantuma quel che resta del consenso popolare ma
almeno lo preserva dal “regime”.