1999 Giugno 15 Gestapo e Kgb

1999 Giugno 15 – Gestapo e Kgb

Non capisco. Le cronache dal Kosovo si spaccano nettamente in due tronconi, l’uno scollegato
dall’altro, come se non ci fosse relazione. Si comincia dagli orrori (dei serbi), si finisce con le reazioni
(dei kosovari).

La tv mostra, i giornali documentano, i testimoni raccontano, gli osservatori Onu fanno rapporto.
Distruzione casa per casa, terra bruciata, torture da Gestapo, esecuzioni da Kgb, corpi a pezzi, corpi
sotto il letame, corpi abbrustoliti, corpi a pelo d’erba, fosse ovunque, anche nelle fogne: quando i
satelliti della Nato segnalavano agli increduli le fosse comuni fresche di scavo, c’era chi scriveva sui
muri: “D’Alema assassino”. Mine, mine sui campi, negli orti, nelle stalle, mine come trappole per
topi, nascoste in una radio, in un videoregistratore, in un frigorifero, in un videogioco, si attacca la
spina della corrente elettrica e bumm, bambini a pezzi, a chi tocca tocca, dopo i colpi alla nuca la
morte a distanza, un supplemento di morte da parte degli autori della pulizia etnica nel nome della
“federazione multietnica”.

Parte seconda, l’informazione volta bruscamente pagina, ed è il momento dello sconcerto, quasi
stupore. Stupore per la fuga dei serbi dal Kosovo, stupore per la riluttanza dell’Uck a restituire le
armi, stupore per le vendette, stupore per l’odio di ritorno, stupore per la separazione etnica, stiupore
per la voglia di spartizione, stupore addirittura per la irrefrenabile voglia dei profughi di tornare subito
a casa, pur presa a cannonate o incendiata, casa dell’anima non più abitazione, umanità fatta a pezzi
non solo da Milosevic ma da tanti delinquenti come lui, come lui da processare.

I mezzi di comunicazione mostrano a noi e ai profughi che migliaia di kosovari sono stati ammazzati
come bestie, stuprati e violentati, ma il giorno dopo si chiede a un intero popolo di reagire come un
circolo di illuministi, a sangue freddo, con una irrazionalità inumana, da robot privi di sistema
nervoso. Non persone in carne ed ossa, ma manichini; non gente che ha conosciuto il dolore di massa,
ma cavie in quattro e quattr’otto anestetizzate dalla pace in cellophane.

Trovo questa idea violenta quanto le bande paramilitari di Belgrado. “Buon anno nuovo! Buon dolore
nuovo” dice un verso di Anna Achmatova.