1999 Luglio 16 Benvenuti e i paguri

1999 Luglio 16 – Benvenuti e i paguri

Chissà se Feliciano Benvenuti ricordava tutte le cariche ricoperte. Tante, troppe, ma il professore
era uomo di diritto, di finanza, di cultura, e di banca: si trovava sempre una buona ragione per
ricorrere a lui.
A Venezia, lui amministrativista di grido, sarebbe stato un gran bel sindaco, solo che in materia
pensava esattamente come Bruno Visentini. L’uno cattolico di scuola liberale, l’altro laico fino al
genoma, così diversi, erano però disposti a farlo soltanto a condizione di scegliersi assessori e
collaboratori come pareva insindacabilmente a loro, lontano un miglio marino da partiti, correnti e
dosaggi. Anticipavano i tempi di almeno trent’anni, troppi.
Sarà l’aria di Venezia, mille serenissimi anni di democrazia, ma è sempre stata la “libertà” il chiodo
fisso di questi grandi vecchi. “Per amore di libertà, per amore di verità”, direbbe un fervido,
inesausto maestro come Vittore Branca.
Non per nulla Benvenuti aveva inventato un neologismo, “demarchia”, che non troverete ancora nei
dizionari. In opposizione a “monarchia”, un’idea nuova di cittadino e di Stato: al posto della
partecipazione passiva attraverso partiti e tutele, un vero e proprio ruolo attivo del cittadino
nell’esercizio delle funzioni. Fine della libertà garantita, nascita della libertà attiva; morte dello
Stato-Re, avvento della società aperta. Dopo aver scritto in vita sua più di trecento saggi, consegnò
questa riflessione a n libro della Marsilio.
Era un conservatore nato, di una razza in pericolo d’estinzione. Il cocktail di veneziano colto e di
humor gli faceva raccontare storielle gustose, delle quali era il primo a sorridere anche quando il
bastone cominciò a procurargli un senso di sconfitta.
Un giorno gli chiesi della Fenice e di Venezia. “La Fenice – mi rispose senza pensarci su – ha
scosso Venezia a tutti i livelli, ma a distanza di tempo ho l’impressione che sia stato come scuotere
la talpa quando dorme. Cambia posizione, e torna a dormire”.
E volle raccontarmi Venezia in tre apologhi, uno dei quali diceva: “Il paguro Bernardo vive nelle
conchiglie lasciate libere dai suoi abitanti. I paguri veneziani vivono dentro la loro conchiglia come
se non fosse più la loro”.
L’apologo aveva una morale beninteso. Nella città di tutti, nessuno si sente più a casa propria,
dunque fino in fondo responsabile. Eremiti in casa. Lo humour, a Venezia, sconfina sempre nello
spleen. Sorride di sé, malinconicamente.