1999 Luglio 20 Morti e multe

1999 Luglio 20 – Morti e multe

Lo scorso fine settimana ha registrato sulle strade 51 morti e quasi 1.700 incidenti. Non c’è stata
inversione di tendenza, nonostante 14 mila pattuglie, 32 mila multe e una mobilitazione senza
precedenti.
Soltanto chi non conosce le strade può stabilire un rapporto automatico tra multe e morti. Il ministro
Jervolino ha ammesso: “Sì alla severità giusta delle forze dell’ordine, no a quella cattiva”.
Aggiungo, no alle multe stupide.
Le correnti di pensiero si sprecano, al governo. Il ministro Micheli chiede al Parlamento di inasprire
le sanzioni; il suo sottosegretario Fabris sostiene il contrario: “Non servono le multe, il problema è
educare”.
La verità è che servono tante cose assieme. Ho preso a campione la provincia di Treviso, dove due
dei quattro incidenti mortali hanno visto l’impatto contro un platano e un palo dell’Enel. I platani,
per dire, sono belli quanto inesorabili: con un platano diventa mortale anche un incidente veniale.
Sulla statale del Santo, tra Padova e Camposampiero, il problema è stato affrontato alla perfezione,
con moderni guard rail.
Per dire come siamo messi in Italia, Legambiente ha proposto di limitare il numero delle auto in
circolazione. Geniale.
Circolano più luoghi comuni che auto. La stessa Jervolino ha confessato: “Fortuna che io ho una
macchina piccola e non ho dunque la possibilità di correre”.
Signora ministro, la Seicento fa 140 all’ora, 130 la Panda quattro per quattro, 150 la Mini Cooper e
la Micra Nissan. Per quanto piccola, non circola macchina che faccia meno del massimo consentito:
130 all’ora in autostrada, cioè a tavoletta con una piccola, da prender sonno con una 2000.
Per essere efficaci, certi limiti andrebbero differenziati, per cilindrata.
Un ispettore della Polstrada ( ometto il nome sennò il comando lo multa per dichiarazioni alla
stampa, pensa te!) mi spiega il Veneto con una sintesi perfetta: “ Il Veneto è ormai un’unica grande
città e, come noto, la gran parte degli incidenti avviene in città”. Sacrosanto, la città diffusa
moltiplica la pericolosità; un interminabile dedalo urbano che richiede disciplina, interventi,
manutenzione, cura, investimenti (strutturali) più che incassi ( sanzionatori). I controlli si sono di
colpo “accorti” delle cinture dopo averle dimenticate per anni.
Un certo numero di incidenti è fisiologico, ci sarà sempre finchè ci sarà traffico. Dobbiamo
occuparci di quelli che si potrebbero evitare, facendo appello alla cultura, al buonsenso e alla
repressione, senza moralismi di stagione.
Si può andare fuori strada e morire anche se si guida con prudenza. Non abbiamo a che fare soltanto
con i matti del volante.
Mi sono preso la briga di ricostruire uno dei quattro incidenti mortali di Treviso, per l’esattezza
quello che è costato la vita a Bruno Brazzolotto, 54 anni, uscito di strada con il suo furgone da 35
quintali sullo svincolo della A27, poco distante dal casello di Vittorio Veneto nord. Era un artigiano,
un padroncino, su strada da 30 anni, guidatore esemplare, mai una multa in vita sua, mai un
incidente, noto anche alla Polstrada come tanti autotrasportatori di giornali, per i quali consegnare i
pacchi in orario è giurare sul vangelo. Ogni incidente ha una sua storia.
E’ uscito su un tratto con limite a 40 all’ora anche se percorribile a 70. La sua morte verrà archiviata
come un malore, fatalità, colpo di sonno e di caldo, concause di un incidente senza colpa anche se
mortale, non catalogabile alla svelta nel dossier “indisciplinati”, “scorretti” e “incoscienti”. Un
morto sul lavoro, così poco da week end.
Dobbiamo convincere i ragazzi ad andar più piano, ma dobbiamo essere credibili con loro
mostrando che si mette mano seriamente alle strade, a un sacco di cose indispensabili, a una
sicurezza finalmente coerente. Si vede lontano un chilometro che le nostre sono lacrime di
coccodrillo, tardive e a incidente compiuto.