2002 novembre 24 rub
DOMENICA 17
Donne
Mariah Carey, 32 anni, cantante e attrice americana, la diva più pagata del mondo:”Ogni volta che
parlo di un amore mi sembra che quei sentimenti mi appartengano un po’ meno.” (dal “Venerdì”)
LUNEDI’ 18
5 ragazzi
Mentre leggevo la cronaca di un incidente stradale, mi ha preso una speciale angoscia . Ho mollato
il giornale, ho preso la macchina e, non so bene perché, sono andato a vedere dov’era successo, a
Bessica di Loria, frazione del comune trevisano confinante con Galliera, nel padovano, e con
Rossano, nel vicentino. Si chiama Loria perché vi passava la romana via Aurelia mentre Bessica
deriva forse da bessola/bessolàro, pianta che serviva per far lavori in vimini.
Paesi alla veneta, ingrossati dagli anni ’60 in poi lungo le strade, messi in fila non da leggi
urbanistiche ma da interessi agrari e da frette e furie del lavoro. La strada è il paese, il paese è la
strada. Strade e stradine, mappa di parole incrociate sull’asfalto, percorsi lasciati in eredità al
traffico di oggi dalla vecchia vita contadina.
Per trovare il posto dell’incidente fermo un ragazzo in motoretta e con il casco che, gentilissimo,
torna indietro facendomi strada per tre chilometri. Ha vent’anni ed è rumeno, della zona ai confini
con la Russia: il suo nome é Vasile, ma gli amici e i compagni di lavoro della fabbrica Bordin di
sedie di metallo lo chiamano “Nino”. Me lo fa rimarcare lui, con soddisfazione più che integrata.
Rumeni, albanesi e montenegrini sono di casa in queste zone. Nella sola Loria, ottomila abitanti, gli
immigrati regolari sono 400, mentre le domande per la sanatoria dei giorni scorsi sono state 600. E’
stata organizzata una serata in cui saranno lette poesie venete locali assieme a canzoni di
un’immigrata del Ghana.
Bessica è famosa ovunque per i vivai, che fanno capo a 80 aziende. Ma una volta allevavano piante
in proprio; adesso, tranne un paio di ditte, le prendono da Pistoia, dalla Toscana, dalla Liguria o
dall’estero, le trapiantano e le commercializzano. L’industria di oggi sviluppa la tradizione
vivaistica di ieri: persino il sindaco porta piantato nel cognome un albero, Giuliano Faggion. Sette
anni fa, quando fu eletto a 28 anni, era il più giovane sindaco della provincia di Treviso.
E’ ossessionato dai troppi ragazzi che smettono di vivere sulle strade del suo comune, e non crede
che basti un guard rail qua uno là. Vorrebbe fare qualcosa di più, ma che cosa? Tanti in Veneto si
fanno la stessa domanda.
Vasile “Nino”, il ragazzo rumeno in motoretta, fa segno di fermarsi. Mi indica un fosso, lungo il
quale sono stati appoggiati tre mazzi di fiori freschi.
Qui, tra l’asfalto e i campi, poco distante dalle ultime case di Bessica, Alessandro, Daniele e
Michael sono morti; Angelo e un altro Daniele si sono salvati.
Il più vecchio dei cinque amici ha 19 anni, il più giovane ne aveva 15, e viaggiavano tutti in una
stessa utilitaria di marca tedesca.” Si sta comodi in quattro e non ci si deve stringere troppo
nemmeno in cinque”, è il giudizio del mensile “Quattroruote” sulla sua abitabilità; quanto alla
tenuta di strada, il tipo di macchina si prende 4 stelle buone.
Saranno le 23, quella sera, e piove, forse per terra è rimasta ancora traccia della sabbia portata
dall’Africa dal vento di scirocco. Fuori, il buio della campagna; dentro, l’amicizia, le battute, la
musica, la notte che ride; fuori la strada in agguato, dentro l’eterno “sabato del villaggio” di cinque
ragazzi che fanno festa.
E’ ancora prestino per la discoteca. Chi sta alla guida, mi racconta un amico, non fuma né sbevazza.
E’ giovane di patente, questo per forza. Fanno un giro; i più ragazzini saranno presto a casa, un paio
proseguirà a caccia di sorrisi.
A una curva senza pretese, un po’ sbilenca e ingobbita, l’auto scivola via , sbanda su pochi metri
d’erba fradicia e s’infila nel canaletto Lugana del consorzio Brenta. Il Veneto è pieno di queste
acque familiari, larghe due passi appena da sponda a sponda, profonde 40/50 centimetri al massimo,
che se le lasci così come stanno sono un’insidia per la circolazione e se le sbatti dentro i tombini si
finisce per passare per cementieri della natura.
Non deve essere stata una “folle corsa”, come si dice di solito in incidenti di questo tipo, ma la
curva scura e bagnata inghiotte banalmente tutto, aderenza , tempo di reazione e freddezza, forse
per un abbaglio, forse per la traiettoria, forse perché né il destino né tanto meno la velocità ti
perdonano di essere giovane e felice. Solo che l’auto cappotta, affonda in acqua a ruote in su,
imprigionata tra le sponde del canale che le fanno da camicia di forza a testa in giù.
Due ragazzi ce la fanno a uscire, i tre dietro no. Uno resta ferito a morte, uno si annega, uno muore
probabilmente sul colpo: é l’incidente più grave della settimana sulle strade italiane.
Nessuno di chi si è salvato e di chi ha tentato di prestare soccorso può dimenticare i vani colpi di
un piede contro una porta laterale. Li sento anch’io, tali e quali, mentre guardo l’acqua scorrere
come se niente fosse a una spanna dai tre mazzi di fiori.
Saluto il mio amico rumeno, salgo in macchina con mio figlio e torno a casa più angosciato di
prima. Penso che noi veneti dobbiamo pensare.
Pensare che questi ragazzi di Bessica sono gli stessi ragazzi di ognuno dei 581 Comuni del Veneto.
Che ogni giorno i ragazzi valgono il Passante, la Pedemontana e lo Statuto messi assieme. Pensare
che venti anni fa la Regione lavorò sui mortali “punti neri” del territorio e che altre centinaia di
nuovi punti neri si accompagnano al dinamismo di questo grande unico paese che è il Veneto in
polvere dei paesi.
Dobbiamo pensare a investire molte risorse comunali, provinciali e regionali per dare una mano ai
ragazzi nel fare prevenzione di se stessi, così imparando a capire con che cosa corrono, dove
corrono e come correre su misura dell’habitat veneto. Se riusciranno a viaggiare più sicuri sulle
paurose strade del Veneto, saranno più sicuri dappertutto.
A costo di piangere ogni volta, è vietato calare il silenzio sui colpi prigionieri dei poveri ragazzi di
Bessica di Loria. Non vedo niente di più necessario da fare.
MARTEDI’ 19
A Venezia
Una quarta classe elementare di provincia prende il treno presto e va in gita scolastica a Venezia per
vedere, accompagnata dalla preparatissima maestra, la stupenda mostra dei Faraoni a Palazzo
Grassi. Quale è stata la cosa più bella che avete visto?, domandano le mamme al ritorno. “L’acqua
alta!”, è l’unanime risposta dei bimbi che l’avevano vista solo alla televisione e che hanno
attraversato incantati Campo S. Stefano allagato scalpicciando con l’acqua fino alle caviglie.
Anche il faraone Tutankhamon li avrebbe capiti benissimo.
MERCOLEDI’ 20
Andreotti/1
Il 15 novembre 1981 Guido Viola, sostituto procuratore della Repubblica a Milano, scrisse al
giovane giudice Michele Del Gaudio la seguente lettera.
“L’avvocato Giorgio Ambrosoli , tra il dicembre del 1978 e il gennaio del 1979, ricevette
inequivocabili minacce di morte da uomini della mafia affinché si piegasse (come commissario
liquidatore nominato dalla banca d’Italia, ndr) ad appoggiare un progetto di “sistemazione” della
liquidazione della Banca Privata, progetto che avrebbe favorito Michele Sindona.
Non lo fece e l’ultima telefonata ricevuta fu agghiacciante:”Sarai ammazzato come un cane”.
Forse sottovalutammo quelle minacce, forse avrei dovuto farlo proteggere giorno e notte, anche
contro la sua volontà, forse…
Caro Michele, a volte ripenso, con incredulità e sbigottimento, all’appoggio che a quel progetto
balordo aveva dato l’allora presidente del Consiglio, Giulio Andreotti. Avrai letto delle insistenze e
delle pressioni esercitate su Baffi, su Ciampi, su Sarcinelli (tutti alla Banca d’Italia,ndr) perché
dessero il loro placet a un “papocchio” che avrebbe favorito solo Sindona, a discapito della
comunità nazionale che avrebbe pagato per le ruberie del finanziere siciliano.
Ebbene, non riesco a dimenticare un’inquietante telefonata di un “picciotto”, rimasto ignoto, che per
convincere Ambrosoli gli disse:”Guardi che il grande Capo è d’accordo” e Ambrosoli di rimando:”
Chi, Sindona?”, e il picciotto:”No, Andreotti”.
Forse si trattava di millanterie, di fantasie, ma è certo che Andreotti era intervenuto perfino sul
Dipartimento di Stato americano per bloccare l’estradizione di Sindona: chissà se un giorno si
chiarirà fino in fondo il suo vero ruolo in questa allucinante vicenda.”
(dal libro “Il giudice di Berlino”, Tullio Pironti editore, 1994)
GIOVEDI’ 21
Andreotti/2
Nel 1995 Indro Montanelli scrisse la seguente pagina.
“Giulio Andreotti era un chiacchierato in servizio permanente. Era per alcuni una simpatica
canaglia, per altri una canaglia antipatica, per nessuno una mammoletta della vita pubblica. S’era
anche insinuato che il giornalista Mino Pecorelli ( che pubblicava il settimanale Op, osservatore
politico) assassinato a Roma il 20 marzo 1979, si apprestasse a rivelare qualcosa di compromettente
su Andreotti: tanto che amici e ammiratori sbrigativi dello stesso Andreotti avrebbero pensato di
farlo contento togliendo di mezzo Pecorelli.
Fra le tante identità di cui quest’uomo proteiforme poteva essere rivestito una sembrava assai poco
credibile: quella di mafioso stabilmente e organicamente legato alla criminalità organizzata. Ci si
poteva ben figurare che Andreotti avesse, tramite la sua corrente, contatti con la mafia. Ma
l’affiliazione in solenne e dovuta forma a “Cosa Nostra” pareva troppo.”
(dal libro “L’Italia di Berlusconi 1993-1995” di Montanelli e Mario Cervi , editore Rizzoli)
VENERDI’ 22
Andreotti/3
C’è un solo modo per stabilire se il “proteiforme” Giulio Andreotti sia il mandante di un omicidio o
una innocente “simpatica canaglia”, se un “Capo” per i picciotti o un Belzebù della politica, come
lo definì Craxi, oppure un “Gesù Cristo” giudiziario come lo ritiene il cardinale Angelini con un
paragone a mio parere sacrilego. Un solo modo: attendere, nel nome del popolo italiano, la sentenza
definitiva dell’ultimo processo possibile al senatore.
Tutto il resto è opinione, compreso il “turbamento” del capo dello Stato.
SABATO 23
La citazione
Vittorio Sgarbi da “Il bene e il bello, la fragile condizione umana”. Editore Bompiani, ottobre
2002.
“Ho una ragazza che viene dall’Oriente, dove le cose hanno origine, ed è un angelo del paradiso.
Non si sente, non pesa, non è toccata dal tempo, è lontana da tutto. Vicina soltanto a me.”