1971 gennaio 17 Il gioco violento e gli atleti
1971 gennaio 17 – Il gioco violento e gli “ atleti ”
“ Finchè c’è la vita continua la morte ”, commentò un radiocronista dopo il rogo di Ignazio Giunti a
Buenos Aires. Lo sport è appunto vita, rischio, coraggio: negato ai piagnoni; a chi condiziona la
sofferenza di ogni pratica agonistica all’ opportunista “ ma ne vale la pena? ”.
Esiste però un obbligo rigoroso, si tratti del circuito da 300 all’ora o di un campo di football o di una
corsa ciclistica: l’obbligo di tutelare la fatica con il maximum della sicurezza. Il francese Beltoise è
stato rinviato a giudizio dalla Magistratura argentina: sintomo eloquente che, quel giorno di morte,
la “ voglia di vincere ” aveva sopraffatto il senso della partecipazione ai valori collettivi, cioè la
“vita di tutti”. Pur con tutte le cautele e le nette differenziazioni che i fatti meritano, la rude diagnosi
al ginocchio di Franco Liguori segnala ancora una volta bandiera gialla, indice di pericolo,
testimonianza che anche i prati verdi del football esigono un maggiore tasso di sicurezza.
A scanso di equivoci, non ci passa nemmeno per l’anticamera del cervello l’idea di porre in analogia
Beltoise e Benetti, Buenos Aires e San Siro, piloti imbottiti di benzina e calciatori. Solo che la
tristezza di noi tutti per quel mucchio di legamenti spezzati e il disarmato sguardo di un atleta già in
pensione a 24 anni, costringe a non archiviare l’episodio.
A ribadire una tesi sulla quale non è consentito alzare le spallucce o chiudere un occhio dedicandosi
in fretta all’ “ attualità ”, a Milan e Napoli in trasferta, alle smemoratezze dei risultati, al campionato
che transita come fiume disarginato su raccolti e semine: la tesi dell’ arbitro pompiere, dell’arbitro-
giudice di primo grado, dell’arbitro- produttore di calcio.
Solo gli arbitri possono infatti tutelare il campionato dalla violenza; anche gli arbitri, reprimendo il
gioco violento, possono migliorare la qualità del gioco, consentire la “ parità dei diritti ” tra
difensori e attaccanti. E’ quanto stanno già facendo? A mio avviso, no.
E l’ultimo diseducante esempio viene proprio dall’ incidente a Liguori: per un takle volutamente
insistito, con la punta del piede “ alla sudamericana ”, Benetti non è un killer; certamente non intese
frantumare il ginocchio dell’ avversario, ma il suo “ io non mi tiro mai indietro ” non deve diventare
il manifesto di uno sport di atleti che tanto più restano tali quanto più sanno distinguere la virilità
dall’ intenzione, affatto virile, di annullare comunque l’inferiorità tecnica nei confronti di un collega.
Il Regolamento prevede:
– condotta scorretta: esempio, sorprendere con grida e richiami la buona fede degli avversari
quando sono in possesso di palla o stanno per impossessarsene. In caso di recidiva e dopo
ammonizione, il colpevole può essere espulso;
– gioco pericoloso: esempio, il calcio a forbice o alzare il piede all’altezza del viso degli avversari.
Risultando fissato il movente nella imprudenza, temerarietà o noncuranza, questi atti vanno repressi
con un calcio di punizione indiretto;
– condotta violenta: mettere una specifica brutalità, come ad esempio: colpire o tentare di colpire un
avversario; dare o tentare di dare un calcio ad un avversario ecc. ”.
Per garantire l’ intenzionalità di un fallo, basta che il giocatore carichi irregolarmente l’ avversario
con manifesta volontà. Per la condotta violenta, oltre al calcio di punizione o al rigore ( se in area ),
il Regolamento dice: “ il giocatore…dovrà in ogni caso essere espulso ”.
Tutta una casistica di scorta consente inoltre precise valutazioni repressive: dove la repressione
diventa spartiacque preventivo tra correttezza e intimidazione. In genere, gli arbitri si dimostrano al
contrario più disponibili a non tollerare il reato di “ protesta ”. Chiaro che anche il comarismo non
ci sta. Ma, in una scala di valori, non esiste confronto con l’esigenza di tutelare la sicurezza fisica
dei protagonisti, quindi i giocatori: alla lunga anche dei giocatori dalla condotta violenta.
Attualità alla mano, il tressette ( col “ morto ”) della retrocessione resta tutto da giocare. Lo
scudetto pure.