1973 gennaio 7 Boniperti: “Garibaldini contro marpioni”

1973 gennaio 7 – Boniperti: “Garibaldini contro marpioni”

“Se andiamo a giocare col Milan, non lo soffriamo: l’Inter invece ci
fa paura, ci
fa soffrire. Sono giocatori dall’esperienza dei
fuoriclasse, capaci di risolvere da qualsiasi punto un incontro”. L’ha
confessato l’altro giorno alla “Gazzetta” un riflessivo ventiseienne,
Fabio Capello, funivia di centrocampo, il giocatore che più di ogni
altro ha l’obbligo di “portar su” gli schemi della Juve.
Inter-Juve vale più di un derby Milan-Inter. E’ la partita che
verticalizza più di ogni altra la partecipazione del pubblico italiano.
“Il pubblico degli stadi, – scrive Georges Magnane in un saggio di
sociologia dello sport – ci tiene ad essere il testimone d’un dramma
che si svolge sotto i suoi occhi, la cui fine non è conosciuta
dall’autore, dall’organizzatore o da ogni altro deus ex machina che
egli rifiuta, e in cui egli ha la possibilità di esercitare un ruolo non
trascurabile con le sue grida, i suoi slanci d’entusiasmo, ossia,
quando sia il caso, con una sorta di super-arbitraggio (occorrendo,
egli invade il campo e interrompe la rappresentazione, piuttosto
che vederla falsata in modo inammissibile). Tuttavia non bisogna
dedurne che esso non tenga conto della immaginazione. Anzi, si
tratta d’un pubblico sempre a caccia dell’insolito e dello
straordinario: il più assetato di meraviglioso che vi sia”.
Legata quasi per antonomasia all’1X2, Inter-Juve offre dunque il
maximum della suspence e, almeno in potenza, il maximum del
tecnicamente “meraviglioso”. E’ una grande recita teatrale che
pare diretta da un perfezionista quale Zeffirelli.
L’imponderabile è interpretato dalla nebbia. Lo stadio zeppo dà il
marchio d'”esclusi” al resto del mondo. Il record d’incasso è
ricchezza e inflazione. Arbitro è Concetto Lo Bello, unico arbitro-
deputato. Dietro il sipario della Juve, la Fiat; alle spalle della Spa
Inter, un industriale tessile, il miliardario Fraizzoli, collezionista di
Giotto, Tintoretto, Tiziano.
“Garibaldini contro marpioni”, ha detto Boniperti per definire il
match, dove i marpioni sono l’Inter e i garibaldini la Juve.
Nonostante l’assenza di Corso, “zampa di velluto”, l’Inter insacca
infatti nella maglia numero 11 un ragazzo bergamasco di 21 anni,
Moro, 62 chili di tecnica, in sintonia con il tango dell’Inter, e la Juve
del rock’ n roll tattico accentua le sue piroette rimettendo in campo,
dopo 180 minuti di pausa agonistica, Bettega, 22 anni, del quale
Altafini ha osservato: “Sa giocare di sponda e i suoi scambi con
Anastasi sono la cosa migliore dell’attacco della Juve”.

Cercando un’avanguardista del gol, la Juve sceglie Bettega e
lascia perdere Haller. Per farsi passare il nervoso, Helmut leggerà
“Metamorfosi” di Franz Kafka, suo autore preferito; Bettega
cercherà invece in area di rigore una… metamorfosi molto più
concreta e meno letteraria: finora ha segnato infatti soltanto una
volta. Fra l’altro, San Siro dovrebbe essere il set giusto per lui:
ancora oggi, nessuno ha dimenticato la carezza di mezzo-tacco
destro con la quale Bettega paralizzò un giorno il Milan e Cudicini,
cui furbescamente girava le spalle.
Il record del non-gol appartiene comunque a Mazzola. In tredici
partite, e sono 1170 minuti, Sandrino a rete non è andato mai! Uno
scandalo tecnico ricordando l’istinto passato di goleador leggero e
rapido come un levriero. Da parecchio tempo Mazzola sostiene di
non essere più un interno di punta e alle parole nessuno ha mai
creduto. Eppure, anche le cifre danno ragione alla mezz’ala
dell’Inter: può cioè un goleador non segnare mai in 1170 minuti?
Tale statistica negativa dovrebbe far piacere a Zoff. Ma, da
quando è diventato capitale-Fiat, il portiere della Juve trova tutto
difficile. Persino la partita del Mec, invece d’essere una gita a
Londra, ha preso per Zoff il colore dell’ansia, per almeno un paio di
fondamentali uscite non eseguite.
Ed è questo (non uscire nemmeno sotto rete) limite che appartiene
a Zoff come a quasi tutti i portieri italiani, fatta parziale eccezione
per Vieri e Bardin.
A Londra, Zoff è sembrato gatto di marmo soprattutto perché il
parametro si chiamava quella sera Piot, dello Standard Liegi, un
asso, un portiere che gioca in area, non soltanto fra i pali. A
proposito di Belgio, l’Italia fu eliminata da Coppa Europa a
Bruxelles e l’1 a 0 appartenne al bassotto Van Moer che deviò
un… calcio di punizione a non più di due metri da Albertosi,
naturalmente ben inchiodato tra i pali, secondo costume nostrano.
Il mirino di Zoff va puntato con maggiore mobilità su Boninsegna
per un sacco di ragioni: 1. perché, se il testa-gol di Bettega è più
elegante, quello di Boninsegna è più “maligno”; 2. perché
Boninsegna è un Müller mediterraneo, da due anni goleador-guida;
3. perché Boninsegna tiene nel carnet l’intenzione di riprendere la
maglia numero nove della Nazionale: operazione non impossibile
se Chinaglia non ridà segni di vita; 4. perché lo Bello, pur senza
riserve mentali, non si farà più beffare dallo stopper Morini. A
Torino, ricordate?, Morini strattonò un giorno platealmente Bigon in
area di rigore senza che il copertissimo Lo Bello riuscisse a vedere

il penalty. La sera stessa, negli studi della Tv, l’arbitro stupì molti
ammettendo: “Sì, ho sbagliato”.
Inter-Juve è scudetto, tradizione, ambizione e Nazionale. E’ un
detonatore del campionato. Ma, probabilmente, un detonatore
senza il morto. Dopo che il general manager del Torino, Bonetto,
ha cervelloticamente definito il pubblico di San Siro “il più incivile
d’Italia”, proprio questo pubblico avrà una spinta in più per sentirsi
non tanto spettatore quanto protagonista. Protagonista di un
pomeriggio civile, sul quale costruire la speranza di un football
meno cavernicolo e incolto di quello al quale ci ha addestrati il
1972.